L’episodio risale agli inizi di marzo. Un uomo, portato al “Parini” in sala operatoria per un intervento non urgente, tossisce ripetutamente, circostanza che insospettisce l’anestesista. Scattano a quel punto una serie di accertamenti (incluso un tampone), dai quali emerge la positività del paziente al Covid-19, con il blocco dell’operazione e l’isolamento dell’interessato. Fatti che avevano condotto la Procura ad aprire un fascicolo, con l’ipotesi di epidemia colposa, di cui – alla luce delle risultanze delle indagini svolte – il pubblico ministero Luca Ceccanti ha richiesto al Gip del Tribunale l’archiviazione.
Gli inquirenti hanno infatti messo a fuoco, in particolare, due elementi tali da non configurare responsabilità a carico dell’indagato, che aveva lavorato in una località sciistica della Valle, venendo a contatto con i turisti che ancora affollavano le piste prima del “lockdown”. Il primo è che, a seguito delle verifiche effettuate sugli operatori sanitari venuti a contatto con lui, nessuno è risultato essere rimasto contagiato dal Covid-19 (presupposto del reato contestato). L’altro è l’aver appurato che, non appena l’anestesista aveva chiesto al paziente delle sue condizioni, questi ha riferito di sentirsi la febbre, senza minimamente celare la circostanza.
In sostanza, più che di fronte a un caso di omissione dei sintomi, la valutazione inquirente è che gli stessi non siano stati sondati, considerando anche che – trovandosi nei primi giorni della fase acuta dell’emergenza (non erano ancora state bloccate le prestazioni operatorie non essenziali) – le procedure al riguardo potessero non essere ancora rigidamente codificate. La temperatura corporea dell’uomo, dopo la tosse notata dall’anestesista poco prima della rinoplastica cui stava venendo avviato, secondo una testimonianza raccolta all’epoca dalla nostra testata, era “appena inferiore ai 38 gradi”.