Scontro tra difesa ed accusa, in apertura della terza udienza del processo “Geenna” su infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle d’Aosta, nella mattinata di oggi, mercoledì 10 giugno, al Tribunale di Aosta. Le difese dei cinque imputati hanno presentato un’eccezione sull’attuale indisponibilità delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche del procedimento (la relativa perizia, disposta durante le indagini, non è ancora conclusa), sollevando difficoltà in particolare nel sentire i testimoni senza disporre dei dialoghi su carta. Il collegio giudicante, dopo essersi brevemente ritirato in camera di consiglio, la ha respinta ritenendola infondata.
Ad incaricarsi dell’eccezione, all’avvio dell’udienza, l’avvocato Claudio Soro (che con la collega Francesca Peyron difende Alessandro Giachino e Monica Carcea). “Questo processo, come molti altri in tema di criminalità organizzata, – ha premesso – si fonda prevalentemente su intercettazioni telefoniche ed ambientali, che costituiscono il nucleo dell’accusa”. Poi, l’aspetto tecnico: “non siamo più nella fase cautelare, quindi l’uso delle intercettazioni va ricercato nel codice, che impone la perizia per le trascrizioni”. Quindi, l’affondo: “Non sappiamo quando verranno depositate quelle di Geenna, perché la perizia è stata disposta ancora in indagini preliminari”.
“La perizia è fondamentale, – ha aggiunto l’avvocato Soro – perché attraverso un tecnico viene trascritta tutta la conversazione. Viene soprattutto, in alcuni casi, depurata da fruscii, da voci sovrapposte, da situazioni che rendono incomprensibile a molte l’ascolto della intercettazione. Non solo, qui vi è anche una babele di dialetti calabresi, che vanno anche contestualizzati. Quello ionico, quello tirrenico…”. Parole dopo le quali il presidente del collegio giudicante, Eugenio Gramola, ha illustrato l’intendimento del Tribunale: convocare i testimoni protagonisti delle conversazioni, con la possibilità del pm di usare i suoi brogliacci per chiedere chiarimenti e precisazioni, e una volta depositate le trascrizioni, qualora emergesse la necessità di altre domande, riconvocarli.
Lo stesso Gramola ha detto di rendersi conto che tale impostazione rappresenti “un gioco d’azzardo”, ma “se dobbiamo aspettare che arrivino le trascrizioni, si va a settembre”. A quel punto, “ci saranno anche altri ritmi” e “rischiamo di far andare avanti il procedimento per mesi”. Una prospettiva che non ha incontrato il favore dell’avvocato Soro: “mi rendo conto che il Tribunale ha le sue esigenze, ma noi abbiamo quelle difensive, che sono superiori”. Questo processo, ha proseguito il legale, “deve essere un percorso, non una corsa” e “il ‘gioco d’azzardo’ di cui ha parlato il Presidente, sicuramente si verificherà”. Formalizzando la sua obiezione (con la proposta di attendere le trascrizioni, proseguendo intanto nell’audizione di tutti i testi d’accusa per cui il pm non ha bisogno di contestare intercettazioni), ha chiuso con: “abbiamo apprezzato il ritmo, ma non possiamo aderire a questa procedura”.
Il punto sollevato dal legale ha trovato d’accordo tutte le difese degli altri quattro imputati, associatesi all’obiezione, con l’avvocato Corrado Bellora (difesa Sorbara) ad introdurre anche un problema, derivante dall’impostazione adottata, di utilizzabilità dei testimoni. Il pm Stefano Castellani, della Dda di Torino, ha reagito con sorpresa. “Mi pare che, all’udienza scorsa, – ha detto – l’accordo fosse di utilizzare la fonia. Mi sembra che avessimo raggiunto un accordo, che oggi è oggetto di eccezione”. Peraltro, “in vista dell’udienza di oggi, non avevo preparato i brogliacci, ma le registrazioni e non sono così stolto da far sentire un ambientale da mezz’ora”. Nel merito del tema, l’accusa ha osservato che “sul fatto che la prova sia costituita dalla fonia non c’è dubbio” e “la trascrizione è solo un mezzo di riproduzione della prova data dalla fonia”.
Visto il respingimento dell’eccezione, l’udienza continua ora secondo il programma previsto, imperniato sui testimoni dell’accusa, in particolare sui lavori negli uffici del Tunnel del Gran San Bernardo per cui il ristoratore Antonio Raso, presunto partecipe della “locale” aostana di ‘ndrangheta, avrebbe “intercesso” al fine di far attribuire ad un artigiano “di fiducia”.