“Ti dò due/trecento euro a funerale”: i necrofori parlano, i Carabinieri ascoltano

Nell’ambito dell’operazione Undertaker, su episodi corruttivi tra operatori funerari e impresari del settore, sono state intercettate numerose conversazioni. Ecco come gli inquirenti sono arrivati alle misure eseguite oggi.
Camera mortuaria Aosta
Cronaca

“Eee… me l’hai mandato te… qualcuno per un defunto là”. È il 7 luglio scorso. A chiamare uno dei necrofori in servizio al “Parini” è un socio delle “Onoranze funebri Théodule”. La domanda causa un sussulto all’altro capo del telefono (il regolamento del servizio vieta tassativamente ai dipendenti dell’Usl di dare indicazioni nominative, o raccomandare imprese): “assolutamente no!”. L’impresario quasi si giustifica: “No… niente… pensavo che fossi stato tu… che avevi fatto il nostro nome…”. L’operatore si altera sempre di più: “no ma io non do il nome a nessuno eh! Ma sei fuori di testa? Ma non so mica eh!?”. Pacifica la conclusione dell’imprenditore: “ma se me lo avessi mandato da me! Mica nulla di grave! Anzi! Ti ringraziavo!”.

E’ una delle tante conversazioni ascoltate dai Carabinieri del Nucleo Investigativo, attraverso le intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte nell’ambito dell’operazione Undertaker, in cui sono indagati due operatori necrofori degli ospedali regionali (il 35enne Michel Agostino di Aosta e  il 58enne Valter Chenal di Pollein) e un impresario di pompe funebri (Ennio Théodule, 58 anni, di Pollein), per ipotesi – formulate a vario titolo – di corruzione, istigazione alla corruzione, assenteismo e spaccio di stupefacenti. Per gli inquirenti, coordinati dal pm Luca Ceccanti, quel dialogo evidenzia, su tutti, due aspetti: il contesto corruttivo del campo dei servizi funerari e il grado di compromissione dell’impresa Théodule.

La telefonata “bollente”

Della “delicatezza” della chiamata ricevuta, l’operatore funerario contattato dall’azienda appare pienamente cosciente, tanto che il giorno stesso, nel momento in cui Agostino prende servizio, gliene riferisce, sentendosi chiedere con aria incredula: “al telefono te lo ha detto?”. Il collega, a proposito dell’accaduto, manifesta massima contrarietà: “Sei furbo?” e “ma… ma io ti denuncio”, mentre Agostino, riferendosi all’autore della chiamata, chiude la questione con: “…non è sveglio”.

Parole da cui militari e Procura traggono la chiave di lettura per le immagini filmate il 29 giugno e il 29 luglio di quest’anno, da una telecamera installata nei locali dell’obitorio dell’ospedale, in cui si vede Chenal ricevere soldi da Théodule. Cifre non elevate, valutate nell’ordine dei 2/300 euro in ognuna delle due occasioni, che per chi indaga – malgrado, a voce, i protagonisti del video non facciano riferimenti di alcun tipo – rappresentano il suggello di un “patto corruttivo”, tra l’incaricato di pubblico servizio e l’impresa, finalizzato ad ottenere favori nell’ambito dei servizi funebri (cioè il “dirottamento” dei congiunti di defunti).

“C’è chi dice no” all’impresario

Il mosaico accusatorio si completa con i passi di un’altra intercettazione. È il 30 agosto quando Agostino racconta ad un collega che il giorno precedente: “La francese mi fa… ‘non conosco nessuno, mi dici te qualcuno’… gli dico qua ci sono i numeri, no perché… Ennio mi è venuto e mi fa… manda a me che ti do due/trecento euro a funerale…”. Chi ascolta il racconto non crede alle sue orecchie: “è fuori di testa”, mentre il necroforo continua: “Gli ho detto ‘…Ennio a me se mi beccano… metti che questa dice ‘ah il ragazzo mi ha consigliato questo…’ ed io ho perso il posto di lavoro gli ho detto… prendo due/trecento Euro che poi non mangio per tutto l’anno…”.

In questo caso, per la Procura, dal dialogo sgorgano indicazioni inequivoche sul fatto che l’offerta non fosse episodica, ma tesa ad una “collaborazione” permanente con l’operatore, nell’ottica di garantirsi anche da Agostino gli stessi “favori” cui l’impresario aveva – nella tesi inquirente – convinto Chenal. Malgrado il rifiuto opposto su questo versante, l’attività di indagine (svolta anche con servizi di osservazione, controllo e pedinamento) ha fatto emergere addebiti pure a carico di Agostino, di cui i militari hanno ricostruito una rigogliosa attività di spaccio di cocaina, anche all’interno dell’area ospedaliera.

Da necroforo a pusher in pochi passi

Il 25 luglio una telecamera della videosorveglianza lo inquadra nei pressi dell’ingresso del “Parini” mentre mette la mano nel borsello di un uomo (che lo aveva contattato telefonicamente poco prima e cui aveva dato appuntamento), dopo aver ricevuto da questi due banconote da cinquanta euro. Poco dopo, s’infila una mano in tasca e deposita qualcosa nella borsa di una donna che lo ha avvicinato nel frattempo. Considerato come il “fotogramma” successivo sia rappresentato dal necroforo che, tornato in ufficio, estrae una confezione di cocaina, per i Carabinieri ci sono pochi dubbi su natura e ragioni di quelle “consegne”.

Oltre a queste due, filmate, sono numerose le cessioni contestate al 35enne: i militari hanno fermato vari acquirenti, sentendosi raccontare come il prezzo oscillasse tra i 90 e i 100 euro per “pezzo” (attorno al grammo). L’analisi dei tabulati e le intercettazioni hanno consentito di ricavare, solo con uno di loro, ben 70 contatti telefonici, tra inizio luglio e fine agosto 2019. Un uomo ha riferito di aver avuto in dono, in tre circostanze, della “neve”, mentre una ragazza si è lamentata del fatto che “mi aveva dato droga di scarsissima qualità”. Un altro cliente ha spiegato che Agostino gli doveva circa 750/800 euro e “qualche volta l’ho cercato io, dato il fatto che vanto un credito” e “sapendo che lui disponeva” di stupefacente.

“Fuori stanza” per spacciare

Contestazioni cui si aggiungono quelle di assenteismo: “incrociate” le sue timbrature con quanto emerge dalle indagini, per gli inquirenti l’uomo si è allontanato, risultando falsamente in servizio, per quasi cinque ore in tutto, in quattro diverse giornate. Risultava “fuori stanza” sia per lo spaccio, sia per motivi personali. Un quadro probatorio che, non appena ricostruito nel suo insieme, ha spinto il pm Ceccanti a chiedere al Gip il carcere per Agostino (traffico di droga ed assenteismo) e i domiciliari per Théodule e Chenal (corruzione per entrambi e istigazione alla corruzione per il secondo). Motivo delle misure, soprattutto la necessità di evitare l’inquinamento delle prove.

Il rischio di perturbare le prove

Per sostenere la sua tesi, la Procura cita un accordo, raggiunto il 31 agosto tra Agostino e Chenal, per non denunciare lo smarrimento del cellulare di servizio, giacché l’eventuale intervento delle forze dell’ordine si sarebbe tradotto in un controllo della videosorveglianza e “La Polizia guarda l’esterno, il problema è che guardano tutto… se uno di noi ha preso dieci euro”. Il Gip Colazingari ha riscontrato gli indizi dei reati per cui la Procura procede. Nella sua ordinanza, lo spaccio è comprovato “dalle dichiarazioni direttamente rese dagli acquirenti”, mentre la consegna di contanti dal necroforo all’impresario “ben si configura come esecuzione di un accordo preventivamente intervenuto”.

Quanto al soddisfacimento delle esigenze cautelari sono stati ritenuti sufficienti i domiciliari per Agostino e l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per l’altro necroforo e l’impresario. Da lì, il “blitz” dei trenta Carabinieri del Gruppo Aosta entrati in azione all’alba di oggi, lunedì 23 dicembre. L’indagine continuerà, anche perché gli inquirenti vogliono mettere a fuoco se quella che, in un’intercettazione di agosto, hanno sentito definire da un medico, intento a parlarne con un necroforo, “la mafia delle pompe funebri” avesse altri attori protagonisti, oltre a quelli passati sinora sotto gli obiettivi delle telecamere.

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