Dopo quelle dell’avvocato Carlo Romeo e di Roberto Alex Di Donato, altre dichiarazioni spontanee hanno caratterizzato la terza giornata di udienza preliminare del processo nato dall’operazione Geenna, su presunte infiltrazioni mafiose in Valle d’Aosta e Piemonte. A renderle, nella mattinata di oggi, venerdì 10 gennaio, a palazzo di giustizia di Torino, due imputati ritenuti partecipi della “locale” di ‘ndrangheta su cui si sono concentrate le investigazioni dei Carabinieri del Reparto Operativo: il ristoratore Antonio Raso, titolare della pizzeria “La Rotonda”, e il dipendente della Casa da gioco di Saint-Vincent, Alessandro Giachino.
“Non so nulla della ‘ndrangheta”
Entrambi, collegati in videoconferenza dalle carceri dove sono rinchiusi dal blitz dello scorso 23 gennaio, si sono sostanzialmente dissociati, parlando per circa cinque minuti ognuno, dagli addebiti che vengono loro mossi dalla Dda di Torino (oggi, per la prima volta, era presente in aula il pm Stefano Castellani, che ha seguito l’inchiesta dall’inizio). In particolare, Raso, la voce rotta più volte dalla commozione, ha affermato “Non so nulla della ‘ndrangheta. Sono estraneo ai reati che mi vengono contestati. Qui ci conosciamo tutti e tutti conoscono tutti. Nella mia pizzeria venivano a mangiare tutti gli appartenenti alle forze dell’ordine e politici di ogni colore e schieramento”.
L’udienza di stamane, durata poco meno di due ore, riguardava gli imputati che non avevano scelto riti alternativi (per i quali il procedimento riprenderà il 7 febbraio, con l’avvio delle discussioni) e vanno quindi verso il dibattimento ordinario. Oltre ai già citati Raso e Giachino, parliamo quindi di Nicola Prettico – tutti sono accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso – e dei due amministratori pubblici che avrebbero appoggiato esternamente la “locale” aostana: il consigliere regionale sospeso Marco Sorbara (chiamato in causa come allora Assessore alle politiche sociali del comune capoluogo) e l’ex assessore a Saint-Pierre Monica Carcea.
L’istanza di revoca
Gli ultimi due sono ai “domiciliari” dallo scorso anno. Per gli altri, in cella da quasi un anno, i rispettivi difensori hanno depositato oggi un’istanza di revoca della custodia cautelare in carcere. La Procura ha dato parere negativo e il giudice Alessandra Danieli si è riservata la decisione, rinviando l’udienza al prossimo 17 gennaio. Sarà la stessa occasione in cui tornerà davanti al Gup, dopo la nuova notifica degli atti (ripetuta per irregolarità nella precedente comunicazione), Bruno Nirta, su cui pende l’imputazione di aver partecipato al sodalizio ‘ndranghetistico. Potrà scegliere se avvalersi di eventuali riti alternativi. A quel punto, sulla base dell’opzione, il suo destino processuale verrà riallineato a quelli dei diciotto imputati già “in corsa”.
La Regione ci riprova
Se sceglierà riti alternativi andrà alla discussione già calendarizzata per febbraio. Se discuterà l’udienza preliminare, seguirà i cinque comparsi oggi. Nei confronti di Nirta, e degli imputati che non hanno chiesto l’abbreviato o di patteggiare, la Regione Autonoma Valle d’Aosta, dopo essere stata estromessa dall’udienza preliminare in corso per una questione formale, ha deciso di riproporre la costituzione di parte civile. A rappresentarla in aula sarà però l’avvocatura regionale e non un professionista esterno incaricato. Lo ha deliberato, nella seduta di stamattina, la Giunta presieduta da Renzo Testolin.
Alla riunione era presente anche l’avvocato Renzo Cocchi, del foro di Torino, cui era stata affidata la costituzione rigettata dal Gup. Protrattosi per più di un’ora, il confronto con l’esecutivo, a quanto si apprende, ha riguardato proprio tali circostanze e si è concluso con l’annunciato “cambio di rotta” dell’amministrazione di piazza Deffeyes, ma anche con la determinazione (raggiunta attraverso accertamenti degli uffici e il parere pro-veritate di un docente universitario, prodotto dal legale) di non avere censure da muovere all’avvocato incaricato in passato, sullo svolgimento del suo mandato.
Un rito abbreviato in più
Infine, nell’udienza di oggi a Torino, un imputato che non aveva ancora provveduto ha compiuto la sua scelta di giudizio. È Salvatore Filice, 52enne di Petilla Policastro, chiamato a rispondere di concorso in tentata estorsione e violazione delle norme sulle armi. Secondo la Procura, nell’estate 2015, avrebbe puntato una pistola a due fratelli, intimando di consegnargli 10mila euro, quale “risarcimento” per le lesioni procurate a suo figlio da un nipote di Antonio Raso.
Tale intento non sarebbe andato a buon fine, perché costretto “ad interrompere le proprie richieste” dall’intervento – “nell’interesse delle persone offese” – dello stesso ristoratore e del presunto capo della “locale” aostana, Marco Fabrizio Di Donato. L’ultimo, in particolare, avrebbe chiesto ad un conoscente di picchiare Filice (cui erano state cagionate lesioni giudicate guaribili in sette giorni), fatto valsogli l’imputazione di concorso in lesioni personali.
Nel chiedere il rito abbreviato, il difensore Gianfranco Sapia ha evidenziato come il suo cliente, oltre a dirsi estraneo all’accusa, sia anche persona offesa nell’accaduto (per aver, tra l’altro, perso ogni risarcimento sulle botte al ragazzo) e riservandosi la costituzione di parte civile nel prosieguo del procedimento, rispetto alle lesioni nei suoi confronti. La prossima scadenza per Filice, ammesso al rito alternativo, è il 7 febbraio, quando inizierà la discussione che lo vede imputato.