“Da quando ero tornata in Valle dalla Sicilia, a luglio, la piscina di Saint-Vincent è l’unico impianto di quel genere in cui sono stata”. A parlare è un’insegnante della scuola primaria di Nus. Chiede di restare anonima, ma non riesce proprio a tenersi dentro la sua storia: ad aprile di quest’anno, dopo mesi di dolori e svariati cicli di medicinali, le hanno riscontrato la Legionella. Non è ancora del tutto uscita dall’infezione e, saputo della recente chiusura della struttura sportiva della media Valle per la presenza del batterio, pur consapevole che è difficile provare inconfutabilmente di averlo contratto nell’impianto, non vuole che si dica “non è successo niente”.
La donna si reca la prima volta in piscina il 4 ottobre scorso, accompagnando i partecipanti ad un corso, poi ci torna altre volte in seguito, fino al termine delle lezioni a dicembre. “Non entravo in acqua, ma ero nel locale delle docce, esposta ai vapori”, spiega. Per la fine del mese inizia ad accusare febbre e tosse. “Il medico mi visita e prescrive degli antibiotici. – spiega – Dopo qualche tempo torno al lavoro, ma continuo a stare male e il dottore consiglia una lastra, che evidenzia una polmonite”. La terapia antibiotica prosegue. Avverte benefici, ma la sensazione di sentirsi completamente ripresa no.
Mal di testa e brividi frequenti, la donna pensa ad un indebolimento causato dal tipo di farmaco. Appena può, nei momenti lasciati liberi dal lavoro, sta a casa per riposare, ma a febbraio crolla. “Una sera – continua a raccontare – mi accompagnano in Pronto soccorso e dagli esami emerge nuovamente la polmonite, stavolta sul lato opposto a quella già verificatasi”. La cura porta ancora degli antibiotici, ma la donna è spaventata e si rivolge privatamente ad uno specialista. “Si insospettisce, perché non si spiega due polmoniti nel giro di poco tempo, malgrado la copertura farmacologica massiccia, e mi prescrive vari accertamenti”.
Il mese scorso, la Legionella è nero su bianco negli esami della paziente. “Ho avvertito il medico, che ha fatto partire il protocollo di salute pubblica. Sono stata contattata dal responsabile di una struttura dell’Usl, che mi ha chiesto dove fossi stata da quando avevo iniziato a non sentirmi bene. Ho spiegato che a casa ho uno scambiatore di calore, non il boiler, che non avevo frequentato saune ed indicato la piscina di Saint-Vincent”. Una quindicina di giorni fa, il telefono della donna squilla di nuovo: “era l’azienda sanitaria per spiegare che, a seguito dei controlli effettuati, avevano individuato il batterio nel locale docce dell’impianto, proprio quello in cui ero stata”.
Oggi, dopo aver continuato la terapia, “alcuni valori di infezione ci sono ancora, ma borderline”, e un esito definitivo si avrà solo a fine giugno, quando ulteriori analisi diranno se l’insegnante potrà lasciarsi definitivamente alle spalle questo periodo difficile. Nel mentre, però, “sono stata male per sette mesi” e “mi sarebbe piaciuto un minimo di presa di coscienza” da parte del gestore dell’impianto e del Comune. La donna ha cercato di contattare il primo (“ma al numero della piscina, ancora ieri, rispondeva un messaggio automatico che spiega che è chiusa”) e di parlare con l’Assessore allo sport. “In Municipio – spiega – ho lasciato detto varie volte perché la cercavo, ma non si è mai fatto vivo nessuno”.
La donna non si rassegna: “continuerò a chiamare”. Nel frattempo si è anche rivolta ad un legale, per valutare le possibili azioni del caso. “Io mi sono ammalata, – conclude – ma se fosse accaduto ad altri, magari bambini o persone anziane, sarebbe stato anche peggio. Non pretendo scuse pubbliche, ma vorrei poter parlare con entrambi”. Vista la situazione, diventa piuttosto difficile trovarla una pretesa.