Il 31 luglio 2020 il Forte di Bard inaugurava il neonato progetto quadriennale espositivo-museale “l’Adieu des Glaciers”, quest’anno focalizzato sui ghiacciai del Monte Rosa. Il percorso avanza. Agli ascoltatori che quattro mesi fa erano sparsi in Piazza d’Armi, tra le mura del Forte, è bastato, questa volta (giovedì 10 dicembre) iscriversi al webinar, in diretta via Youtube, intitolato “I Ghiacciai Valdostani: risultati delle ricerche e dei monitoraggi condotti nel 2020”.
Se già all’avvio del progetto l’esposizione dei rischi climatici era incisiva, durante questa conferenza è stata proprio il punto cruciale, fondendo, come nella mostra, scienza e immagini. Ha ricordato le caratteristiche de l’Adieu des Glaciers Michele Freppaz, professore all’università di Torino e studioso di clima, neve, valanghe e ghiacciai, in coda ai ringraziamenti introduttivi degli assessori regionali Carlo Marzi e Chiara Minelli. Il professore descrive l’iniziativa, organizzata insieme a Enrico Peyrot, curatore fotografico. Dà una rinfrescata della mostra proiettando stralci dell’esposizione: opere, restauri, ricerche, immagini che “mettono in guardia”, fronte alla critica situazione climatica. Ribadisce il percorso, e lancia il pomeriggio che similmente al suo intervento è una carrellata di confronti fotografici per denunciare il problema climatico.
I ghiacciai sono infatti “sentinelle dei cambiamenti climatici”, sostiene il secondo dei dodici relatori, Daniele Cat Berro, rappresentante della Società Meteorologica Italiana. Cat Berro dimostra scenari allarmanti, basandosi sul libro “Ultimi ghiacci”, che raccoglie dati meteorologici dei ghiacciai delle Alpi Marittime. Si tratta di ghiacciai vicini al mare, purtroppo “in estinzione, sono dei relitti glaciali”, ammette il relatore, che mostra una rassegna di testimonianze delle trasformazioni dei ghiacciai: carte, grafici, immagini di lampante cambiamento, confronti. Nomina anche parecchi ghiacciai scomparsi: “Non è sbalorditivo? ci stiamo scontrando con un futuro sempre più caldo”, dice Cat Berro. Si ipotizza che entro il 2100 la temperatura si innalzi di quattro gradi, senza ridurre le emissioni, e che, sempre entro un secolo, la neve scompaia sotto i 1500 metri, prevedendo più precipitazioni piovose d’inverno e una maggiore siccità d’estate.
“Il bilancio negativo prosegue con grande negatività”: sono i ghiacciai che ce lo dimostrano, ed è Marco Giardino a farcelo notare, segretario del Comitato Glaciologico italiano. Durante la “Carovana dei ghiacciai”, un viaggio attraverso le Alpi, si è passato “dall’archivio al ghiacciaio”. Al posto di enumerare i dati, ai cittadini era stata mostrata dal vivo la loro provenienza, insieme agli evidenti cambiamenti e effetti sui ghiacciai in modo diretto e visivo. Nel 2019 il ghiacciaio del Gran Paradiso ha subito più di 300 metri di ritiro in un solo anno. Nelle Alpi orientali la situazione è “veramente drammatica”, sottolinea Giardino “alcuni ghiacciai stanno scomparendo, c’è come un accanimento terapeutico sui pochi che rimangono”. Ma fa un passo avanti il segretario: “Non siamo solo testimoni, ma anche attori nel teatro del cambiamento climatico moderno. Possiamo giocare un ruolo importante”.
Ci avvicina al contesto valdostano Marta Chiarle del CNR IRPI, che basa il suo intervento su pubblicazioni in riviste scientifiche riguardanti i ghiacciai valdostani. Chiarle ha raccolto i termini che più ricorrono tra le pubblicazioni. Tra questi compaiono “clima, evoluzione, monitoraggio, coperture detritiche, vegetazione epiglaciale e lago glaciale”. Parecchi anche i nomi geografici, tra cui i più frequenti sono “Monte Bianco, Brenva, Miage, ghiacciaio del Lys e del Rutor”. Tuttavia la relatrice non nasconde che “molti dei ghiacciai valdostani hanno futuro tutt’altro che roseo”. La linea di equilibrio è destinata ad alzarsi parecchio, decretando l’estinzione di quelli che chiama i “volti pubblici della ricerca”. Ad esempio il ghiacciaio di Pré de Bar negli ultimi 70 anni ha perso il 24% della superficie glacializzata, e la sua completa scomparsa è prevista prima del 2100.
Avanza un altro nodo Gianni Mortara, “colonna portante” del Comitato Glaciologico. Sulle superfici di alcuni ghiacciai sono comparsi calderoni, forme di collasso di aspetto imbutiforme. Nel loro processo l’innalzamento climatico gioca un ruolo distruttivo. Questi sono presenti sul Miage e sul Rutor, e “in tempi non lontani”, prevede il relatore, appariranno anche nei ghiacciai del Lys.
Già a partire dagli anni 70 dell’Ottocento i geologi esprimevano il loro rammarico davanti allo scioglimento dei ghiacciai. “E‘ uno spettacolo di desolazione”, cita il relatore “La sua bella collana si era immagrita e ritirata. Anche il bel ghiacciaio del Lys appariva tutto ingracilito”.
Un sottile dato positivo è dato da Edoardo Cremonese di ARPA Valle d’Aosta. Il Ghiacciaio del Timorion, monitorato dal 2001, presenta sempre lo stesso risultato: il livello di accumulo non è sufficiente, confermando il bilancio negativo, ma “leggermente meno negativo del solito”. Cremonese ammette però che “I ghiacciai pian piano ci saluteranno”, risultati dei bilanci di massa ne sono una prova inconfutabile. Di conseguenza ci sarà meno acqua nei torrenti; l’associazione sta provvedendo a simulare sistemi per trattare questa “futura probabile penuria d’acqua” e analizzando i Rock Glacier.
Anche i ghiacciai del Parco Nazionale Gran Paradiso sono quasi tutti in arretramento, seppur moderato. L’arretramento medio rispetto al 2019 è stato di circa 11 metri. Elenca i risultati dei bilanci di massa 2020 Alberto Rossotto. Ha perso 60 metri il ghiacciaio di Montandayné, 33,5 quello del Trajo e 7 quello del Gran Paradiso. Qui in dettaglio il bilancio del Grand Etrèt, che dal 1999 ha perso poco meno di 20 metri.
Si avvale del caso del Ghiacciaio di Planpincieux il dirigente della struttura Assetto idrogeologico dei bacini montani della Valle d’Aosta Valerio Segor. Questo ghiacciaio nel corso della stagione estiva di quest’anno ha perso oltre 740.000 metri quadrati di acqua. Dal 1999 al 2020, in 21 anni, il ghiacciaio ha registrato un bilancio di massa di -821 mm, mentre quello di solo quest’anno è di -333 mm, che corrisponde a 17 metri di acqua. Il valore di quest’anno si colloca alla quinta posizione della serie storica. Più di 400.000 metri cubi di massa di ghiaccio sono crollati durante il 2020.
“Monitoraggio vuol dire trasformare una sequenza di immagini in dati che permettono di ricostruire le velocità di spostamento della superficiale del ghiacciaio”, spiega Daniele Giordan, lavoratore alla CNR IRPI di Torino. Come Fabrizio Troilo dell’associazione Fondazione Montagna sicura, si occupa di monitorare il seracco Whymper alle Grandes Jorasses. I crolli periodici del seracco sono monitorati quest’anno anche con un nuovo sistema: un interferometro radar, che permette il controllo da una distanza mai così ampia: 5 km, come testimoniato da Troilo.
“Questa rete di monitoraggio dal 2014 a oggi ha permesso di acquisire più di 3000 immagini, abbiamo 1600 giorni di monitoraggio. E’ un sistema efficiente e unico sicuramente a livello italiano ma probabilmente anche a livello nazionale”, racconta Giordan. Le analisi del ghiacciaio prese a luglio di quest’anno hanno rivelato spessori compresi tra i 50 e i 60 metri, valori simili di quelli presi nel 2010.
Riguardo la parte francese del seracco interviene Christian Vincent, ricercatore all’Institut des Géosciences de l’Environnement di Grenoble. Vincent espone gli studi dei rischi legati ai ghiacciai di Taconnaz, Tête Rousse et delle Grandes Jorasses. Alla base la temperatura è di -2,6°, ma si prevede l’aumento di 1,8°. L’istituto si prefigge di “anticipare il riscaldamento” attraverso un’osservazione di 4-5 anni della temperatura interna e la velocità di scioglimento. I foraggi compiuti quest’anno sono stati comparati a quelli presi nel 1997 (nel grafico sono quelle in blu) ed è evidente che la temperatura è nettamente aumentata. “Questo solleva questioni negative” annuncia Vincent “la presenza di ghiaccio temperato porta preoccupazione, ha tanta probabilità di scivolare e potrebbe esercitare una forte pressione sul resto del ghiacciaio.”
Si occupa di un monitoraggio particolare Simone Gottardelli, tecnico di Fondazione Montagna sicura. Egli illustra le applicazioni satellitari in campo glaciologico, che identificano la velocità di spostamento del seracco Whymper. Le risoluzioni possono arrivare addirittura fino a 50 cm da terra e riescono a individuare i Laghi glaciali.
Nella conclusione del webinar Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, ci allerta: “Non dobbiamo rimanere fermi, inerti a guardare questo fenomeno, perché ne siamo in parte tutti responsabili”, i ghiacciai sono archivi ambientali, come detto da Marta Chiarle. L’anidride carbonica nell’aria ha raggiunto i 60 miliardi di tonnellate: la più grande quantità mai osservata “da quando esiste l’homo sapiens”, continua Mercalli. “I dati dei ghiacciai permettono a tutti di capire con un colpo d’occhio l’azione irreversibile delle nostre azioni”.
Come aveva annunciato in apertura la Presidente del Forte di Bard Ornella Badery, si preme a “trasformare quello che è un museo di passaggio in un museo che promuove la ricerca del presente, al fine di contribuire a sviluppare un futuro più ecosostenibile”.