Persino le montagne più alte così lontane, così apparentemente immutabili, ci stanno dando dei segnali. Lo racconta la compagnia Palinodie nel loro nuovo spettacolo intitolato appunto “Persino le montagne più alte”. Dopo mesi di elaborazione, questo fine settimana (sabato e domenica 10 e 11 dicembre) sul palco della rassegna Prove Generali//Il teatro va in montagna, la pièce ha visto il suo debutto. Un’idea originale della compagnia valdostana con testi di Verdiana Vono, regia di Stefania Tagliaferri, luci di Tea Primiterra e sculture di Michele Turchi. Sul palco Andrea Cazzato ed Eleonora Cicconi. Un dialogo, un racconto, una riflessione che parte dalla cima delle nostre montagne più alte, per avventurarsi in un viaggio attraverso uno dei temi più caldi della contemporaneità: il cambiamento climatico.
Ma come può uno spettacolo teatrale affrontare questo argomento così profondamente scientifico? Non è una storia, non è una ramanzina, non è una raccomandazione. Persino le montagne più alte è un lungo dialogo – a tratti monologo – che affronta un sentimento profondamente umano: il senso di responsabilità di fronte ad un disastro creato, appunto, dall’uomo. Perché “quando abbiamo iniziato a scrivere questo spettacolo, la Valle d’Aosta non era ancora in emergenza idrica. Quando abbiamo iniziato a scrivere questo spettacolo la frana della Marmolada non era ancora scesa”.
A cominciare questa importante conversazione sono i movimenti; frenetici e disperati, confusi e convulsi. Tra sguardi intensi e movimenti nervosi i due attori cominciano ad occupare il palco messi in risalto da una luce decisa, ma mai intensa, che spesso li nasconde in una morbida penombra. Oltre ai due, tre sagome si stagliano sul fondo del palco: tre alberi spettrali, dalla forma indistinguibile e coperta da un imballaggio di pellicola trasparente. La natura è presente anche sotto forma di acqua, imbrigliata in due contenitori in primo piano. Soffocata e lontana, antropizzata e idealizzata la natura accompagna il dialogo che si districa agilmente passando attraverso racconti fantastici e allegorici, battute e dati oggettivi in uno scambio ritmato e intenso.
Come siamo arrivati a questo punto? Questa distruzione è nella nostra natura? Ma soprattutto come possiamo ignorare il problema senza smettere di amare il mondo in cui viviamo? Perché l’uomo non è un sistema isolato, perché i nostri piccoli sforzi quotidiani non sono una distrazione e non sono inutili. Sono umani. Esattamente come gli attori sul palco si scoprono a vicenda, una parola e un movimento alla volta, gli spettatori sono accompagnati alla scoperta della storia del cambiamento climatico dalle leggende fino all’antropocene.
Un percorso speculare, un’avventura intensa e coinvolgente di cambiamento, idee, riflessioni e un pizzico di poesia. Solo che alla fine della favola la morale non è già confezionata e pronta all’uso, ma è una domanda piena di emozioni: “che cosa abbiamo imparato?”. La risposta, come la domanda, è personale e inaspettata: “Da qui si doveva cominciare: il cielo./Perfino le montagne più alte/non sono più vicine al cielo/delle valli più profonde./In nessun luogo ce n’è più/che in un altro”. Risuonano così le parole della poetessa polacca Wisława Szymborska, pronunciate dalla voce fuori campo di Verdiana. Un invito a fondersi con l’abisso del mondo, uno sguardo al futuro per poter tornare a posare gli occhi persino sulle montagne più alte con l’anima leggera.
