La “fase 2” che sposta i tempi e le paure degli esercenti: “Siamo in ginocchio”

27 Aprile 2020

“Incredulità, sconcerto e amarezza”. Questi i sentimenti di Confcommercio Valle d’Aosta, dopo aver ascoltato le parole, ieri sera, del premier Giuseppe Conte sulla cosiddetta “fase 2.

“Una vera e propria doccia fredda” – scrive il Presidente Graziano Dominidato riferendosi alle misure annunciate ieri dal Presidente del Consiglio dei Ministri – dal momento che “mentre tutti gli imprenditori si aspettavano di poter finalmente aprire il 4 maggio, ieri sera abbiamo appreso senza alcuna giustificazione che la riapertura per noi sarà spostata al 18 maggio e che i pubblici esercizi non riapriranno prima del 1° giugno. Si chiede al commercio un sacrifico troppo pesante senza misure compensative e con un annuncio senza commenti”.

Sacrificio pesante in questo momento, ma soprattutto in prospettiva.

Sentore diffuso anche tra le vie del Centro di Aosta, generalmente un naturale polo attrattivo per flussi turistici, dopo quasi due mesi di chiusura delle attività.

Ci volete morti – si sfogava su Facebook Flavia Balbis, titolare del bar Gekoo in piazza Chanoux –, e con noi tutti i nostri dipendenti. In due mesi manco i 600 euro son arrivati e la cassa integrazione è solo sulla carta”.

Contattata, Balbis spiega: “Ora si parla di nuovi aiuti, ma quelli ‘vecchi’ non sono mai arrivati. I dipendenti non hanno ancora visto un centesimo. Le banche non ti considerano. Addirittura, prima che uscissero i decreti sugli aiuti, ho mandato i nostri bilanci, non abbiamo mai avuto nessun problema di insolvibilità, ma ci rimandano da una settimana all’altra ormai da due mesi. Per cosa poi andrei ad indebitarmi? Perché lavorerò al dieci per cento avendo gli stessi costi? Se faccio debiti è per fare crescere la mia azienda, non per una situazione per il quale io non ho nessuna colpa. Stiamo facendo un salto nel buio”.

Il problema della riapertura

Il problema che rimane da capire è anche un altro: come la riapertura sarà possibile, e con quali vincoli.

“Dal 18 maggio potrei fare il ‘take away’, ma le condizioni allucinanti – prosegue Balbis –: io sono un bar, non una gioielleria. I clienti devono entrare uno alla volta, prenotare per e-mail o sms e noi dobbiamo far loro trovare pronta l’ordinazione. Per la riapertura servono un ingresso per entrare e uno per uscire, e i controlli ricadranno su di noi? Si scarica tutto sulle nostre spalle. Adesso c’è bisogno di semplificare, perché se posso andare a fare la spesa al supermercato non vedo perché non posso sedermi in un bar e bere un caffè o una birra”.

Problema che diventa anche “sociale”, dal momento che un esercizio pubblico è un luogo, anzitutto, di convivialità e scambio: “Rispetto ad un ristorante il nostro servizio è diverso – prosegue la titolare del Gekoo –, chi andrebbe a bersi una birra a un metro e mezzo di distanza dall’altro? C’è proprio un problema sociale. Se avevo trenta persone al bancone, gente nel dehors e seduta ai tavoli ora cambia tutto se posso servire un cliente ogni 5 minuti. Cosa facciamo? Apriamo alle 7 del mattino per sperare di avere un po’ di incassi? Oppure ci mettiamo ad aumentare i prezzi? O metto un timer, così hai tre minuti per bere il caffè e poi devi uscire?”.

Aiuti per tutti?

Problema nel problema a è quello delle misure di sostegno: “Servivano aiuti a fondo perso, non 600 euro che peraltro non hanno ricevuto tutti, per poi doverne pagare 980 maggio. Si sarebbe dovuto bloccare tutto, non spostarlo”.

Una categoria in ginocchio

Sulla questione insiste Umberto Trona, titolare del bar L’Incontro, in via Aubert ad Aosta.

“Sono molto amareggiato – spiega –, gli aiuti non arrivano in nessun caso e quando vengono promessi anche a livello statale si sbatte contro la burocrazia. Le banche sicuramente fanno le cose secondo le leggi ed i regolamenti, ma devono rendersi conto che siamo messi in ginocchio e non riusciremo a sollevarsi senza aiuti concreti dallo Stato e dalla Regione, e non certo con l’elemosina di 600 euro”.

“Ha senso aprire o non ce l’ha – si chiede a voce alta Trona –? Perché se apri per non fare niente non ce l’ha. O ci permettono di lasciare a casa la gente pagata o diventa un bagno di sangue. Dover aprire con le distanze non permetterà mai di avere i numeri per tornare a regime e supportare un determinato numero di dipendenti. Sarà tutto ridotto a quanto potremo incassare, probabilmente un decimo rispetto a prima”.

“Ormai stiamo assistendo al nostro funerale in diretta giorno per giorno – prosegue il titola de “L’Incontro” –, a partire da Conte che proroga i tempi. Un po’ me l’aspettavo, ma mi aspettavo anche che succedesse qualcosa di diverso. Non credo più nelle istituzioni, nella volontà di trovare soluzioni nell’immediato, anche perché sembra che non sappiano come comportarsi, è tutto un testare su di noi senza avere idee”.

Abbassare il costo del lavoro

 Trona spiega che una delle soluzioni per evitare “il funerale in diretta” sta nella gestione dei dipendenti, che va pensata in maniera completamente diversa, ma non solo.

“Spero veramente che tutto riparta alla grande – prosegue –, ma stando chiusi si creano solamente debiti. Febbraio non è stato uno dei periodi migliori, e perdendo poi tutte le festività diventava vitale avere la possibilità di lavorare perché già prima era un continuo salasso. Adesso si dovrebbe forzare a livello statale e europeo per abbassare costo del lavoro che è troppo alto, davvero insostenibile. Adesso ancora più di prima si dovrà lottare per questo: se un dipendente si trova senza lavoro per un periodo non deve pagare contributi, per poi arrivare ad una fase successiva ad un accordo tra le parti per abbassarli”.

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