“Sfiorivano le viole”: le spine del settore florovivaistico valdostano

Il rischio di veder vanificato il lavoro di mesi e di perdere fino all'80% del fatturato è forte. Alcuni vivaisti chiedono alla Regione di poter vendere direttamente al cliente.
I fiori al vivaio Mont Fallère
Economia

Ogni rosa ha le sue spine, e per chi queste rose le produce e le vende, anche lo stesso fiore rappresenta una grande spina. Il settore florovivaistico valdostano rischia di vedere vanificato il lavoro di tutto l’anno non a causa del clima, ma a causa dell’emergenza coronavirus e di un limbo normativo tutto regionale che, da un lato, consente l’apertura dei punti vendita ma, dall’altro, priva alla maggior parte dei clienti la possibilità di recarvisi.

Isavivai: “Rischiamo di perdere l’80% del fatturato”

L’80% del fatturato lo facciamo tra marzo e maggio, ed in parte giugno. In questo modo per noi è dura perché rischiamo di andare fortemente in perdita”, è l’allarme lanciato da Chérie Fenoil di Isavivai ma che vale per tutto il settore.

Trattandosi di prodotti deperibili e stagionali, soprattutto i fiori (ma anche piante ed alberi) rischiano di non sopravvivere a questo periodo: “Se non riusciamo a venderli, tra un paio di settimane viole e primule e poco dopo gerani andranno al macero, o comunque non possono più essere venduti se riapriremo troppo tardi”, spiegano da Isavivai che, proprio in questi giorni, si sono resi autori di un dono per il personale sanitario dell’Ospedale Parini.

Quello che blocca il settore è soprattutto la normativa regionale, che permette la coltivazione degli orti per fini hobbistici (solo nei pressi della propria abitazione) ma non consente gli spostamenti per acquistare i prodotti necessari: “Possiamo vendere solo a chi ha una partita IVA agricola e fa di questo il proprio lavoro ed il proprio reddito, mentre il privato cittadino non può venire. Di fatto ci hanno obbligato a fare la consegna a domicilio senza chiederci niente, ma per noi, dopo che ci abbiamo provato per una decina di giorni, è difficile da gestire: sia perché bisogna trovare i mezzi ed organizzarsi logisticamente, sia perché si va a tralasciare e compromettere tutto il resto dei lavori di produzione come l’annaffiamento, i trapianti, la concimazione”, spiega Chérie Fenoil. “Dopo la nota della regione ci è passato tutto l’entusiasmo, anche perché va molto ad interpretazione: ad esempio, si parla di orto ma non di fiori. Da quando abbiamo riaperto al pubblico vediamo quattro gatti”.

IsaVivai
IsaVivai

Proprio per questo, diversi florovivaisti valdostani hanno fatto rete ed hanno inviato una lettera al Presidente della Regione e Prefetto, Responsabile della Protezione civile, Assessore all’agricoltura, Assessore all’ambiente, Presidente del Celva e Ministro delle Politiche Agricole in cui si legge, tra le altre cose: “la consegna a domicilio risulta per noi assai poco praticabile per poter gestire la grande richiesta di prodotti agricoli (ordini molto diversificati con grandi volumi che presuppongono specifici mezzi di trasporto, personale specializzato, notevoli imballaggi e logistica dedicata)”. Inoltre, “considerato che i prodotti che noi coltiviamo possono essere venduti nei negozi di alimentari e dalla grande distribuzione (acquistandoli peraltro fuori valle), al fine di non essere costretti a buttare al macero migliaia di piantine frutto del lavoro di diversi mesi e unica fonte di reddito per le nostre aziende, chiediamo che ne venga permessa la vendita al cliente direttamente anche nei nostri punti vendita. Sarà obbligo da parte nostra attuare tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza dei clienti e degli operatori, anche privilegiando la vendita su ordine telefonico con asporto, nel rispetto del principio di prossimità che vale per alimentari, ferramente, farmacie etc. come d’altronde avviene a livello nazionale”.

“Noi abbiamo già sostenuto tutti i costi e portato avanti per mesi un lavoro che rischia di essere vanificato, con il rischio di non rientrare neanche dei costi”, conclude Fenoil.

Per la Cooperativa Sociale Mont Fallère al danno economico si aggiunge quello sociale

Non c’è solo l’aspetto economico a preoccupare la Cooperativa Sociale Mont Fallère – che, tra le sue attività, ha anche quella dei vivai – ma soprattutto quello sociale.

“Tanti inserimenti lavorativi o tirocini avvenivano nel vivaio di Sarre, che si presta molto a questa tipologia di servizio per le persone svantaggiate”, spiega Gaetano Aiello, “mentre adesso è ovviamente tutto bloccato. Il risvolto sociale è la mission della nostra cooperativa ed è il danno più importante che stiamo subendo in questo momento, sia per noi che per il percorso di persone fragili”.

Certo, anche l’aspetto economico non è da trascurare: “Abbiamo un bilancio da tenere in piedi e non è facile, perché questo è il periodo dell’anno in cui si vende”, continua Aiello. “Il mese andato è completamente perso, non lo recuperiamo più. Abbiamo chiuso da subito i punti vendita dei vivai di Sarre e di Via Piccolo San Bernardo ad Aosta per tutelare i lavoratori ed i clienti, mentre qualcuno – il minimo indispensabile – lavora per occuparsi delle piante, dei fiori e degli alberi. La natura va avanti”.

Non c’è una previsione di riapertura, anche se per cercare di ovviare alla situazione la cooperativa Mont Fallère ha attivato la consegna a domicilio con un minimo di spesa e con il consiglio di ottimizzare gli ordini con parenti o vicini di casa. “Stiamo valutando cosa fare dell’invenduto. Piuttosto che buttare tutto cercheremo una soluzione diversa, non escludiamo nulla”.

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