Il turismo e la fuga degli stagionali: l’analisi di una giovane professionista
È di grande attualità la situazione drammatica del mondo del lavoro nel settore turistico, ricettivo e ristorativo. Le cause? Diverse: salari bassi, troppe ore di servizio, mancanza di giorni di riposo, condizioni di lavoro precarie, Naspi troppo corta o, ancora, percezione del reddito di cittadinanza.
Un ruolo determinante è stato sicuramente ricoperto dalla pandemia da Covid-19, a seguito della quale si è registrato un vero e proprio cambio di paradigma: oggi, infatti, la qualità della vita conta più del soldo e le persone hanno riscoperto non soltanto il piacere, ma anche la necessità di avere del tempo libero da dedicare ai propri interessi e alla propria famiglia. Il lockdown e le restrizioni che si sono protratte nel tempo hanno, in concreto, inceppato il meccanismo che ha regolato, sino ad ora, il mercato del lavoro del comparto. A ciò si aggiungono due circostanze fondamentali: le stagioni si sono di molto ridotte rispetto al passato e la Naspi non sempre è in grado di coprire tutto il periodo vacante tra una stagione e quella successiva. Così, molti lavoratori hanno deciso di spostarsi in altri mercati, come quello della grande distribuzione, della logistica e del delivery.
Ulteriore fattore rilevante è certamente il reddito di cittadinanza, sussidio che, a parere di molti imprenditori, ha disincentivato numerosi lavoratori – ed in particolar modo quelli residenti in aree in cui il costo della vita è minore – a spostarsi in altre località per le stagioni lavorative.
Dal canto loro, i lavoratori lamentano di ricevere spesso offerte inaccettabili, sia in termini economici che contrattuali. Non è certo un mistero che il settore turistico, ricettivo e ristorativo (pur non essendo l’unico, sia chiaro), si basi su un sistema di lavoro “grigio”, con giornate di riposo fittizie e orari sulla carta molto differenti da quelli reali che, seppur retribuiti, non concorrono alla contribuzione e non garantiscono ai lavoratori un adeguato riposo. Alla base di questa condizione c’è, senza dubbio, l’elevato costo del lavoro, con cui ogni imprenditore è suo malgrado costretto a fare i conti.
Di questa tematica abbiamo parlato con Paula Parovina, pastry chef della Pâtisserie d’Europe di Aosta, che, seppur molto giovane, vanta un curriculum di alto profilo nel settore: già pastry chef al Grand Harbour Hotel Southampton, Parovina è stata, per un breve periodo, demi chef pasticceria presso il Meliá Hotels International e l’Armani Hotel a Milano. In seguito, sempre nel capoluogo lombardo, ha lavorato presso Le Tre Gazzelle ed è stata capo partita pasticceria presso l’Hotel Principe di Savoia. Infine, prima di approdare in Valle d’Aosta, è stata capo partita pasticceria del Ristorante Del Cambio di Torino.
Quali sono a tuo avviso i motivi di questa crisi di manodopera nel settore turistico?
“Il nostro è un lavoro duro: i turni sono lunghi, iniziano molto presto o finiscono molto tardi. Quando gli altri sono a casa, come per le festività, noi lavoriamo e, in aggiunta, tanti di noi si trovano spesso lontani dalle proprie famiglie. Di tutto questo siamo consapevoli, è la tipologia di lavoro che lo impone: il vero problema, però, è che a questi sacrifici spesso non corrispondono stipendi adeguati, soprattutto nei primi anni di lavoro”.
I problemi sono quindi orario e stipendio?
“Non solo: in alcune realtà, soprattutto di alto livello, sono ancora all’ordine del giorno altre problematiche come il nonnismo, il razzismo, il sessismo e l’omofobia che, oggi, appaiono difficilmente tollerabili, anche in considerazione del fatto che in molti altri ambiti lavorativi non esistono più, o quasi. A ciò si aggiunge anche la questione relativa alle opportunità di carriera: il nostro mercato ha un grande bisogno di professionisti, ma occorre trovare un modo per incentivare le persone a non uscirne. Come in tutti i settori, il percorso di crescita è graduale e necessita di un periodo di apprendimento più o meno lungo; in questo frangente, però, non è accettabile il riconoscimento di stipendi irrisori con i quali difficilmente si riesce a sopravvivere. Solo coloro che hanno alle spalle una famiglia in grado di sostenerli possono permettersi il lusso di affrontare anni di stage, o di lavoro sottopagato, per riuscire ad emergere. Così facendo, chi non è fortemente motivato finisce per abbandonare il percorso”.
A tuo avviso quanto ha influito la pandemia sulla fuga dei lavoratori da questo settore?
“Il periodo pandemico ha ancor più messo in luce il malessere dei lavoratori ed ha fatto emergere l’esigenza di una maggiore stabilità che, nel settore, sovente non è garantita. Occorre intervenire anche su questo aspetto, perché se si è in grado di garantire stabilità, le persone hanno l’opportunità di rimanere e, se ciò accade, le imprese hanno modo di guadagnare in esperienza e, di conseguenza, in professionalità”
A tale proposito, sono in molti a lamentare una mancanza di professionalità. Cosa ne pensi?
“Il nostro settore richiede professionalità: non ci si improvvisa cuochi, camerieri e via discorrendo, servono professionisti. Durante il mio percorso ho avuto modo di incontrare tante ragazze e ragazzi provenienti da istituti professionali e, spesso, ho riscontrato uno scarso livello di preparazione. Si tratta di un problema importante, anche perché non tutti hanno le possibilità economiche di iscriversi a corsi professionali di alto livello, specialmente se, nel frattempo, si è costretti a lavorare per mantenersi. La scuola dovrebbe garantire delle basi molto più solide, perché non sempre si ha la fortuna di poterle apprendere sul campo. È necessario inoltre rivalutare i percorsi tecnici: non parlo della Valle d’Aosta nello specifico ma, ancora oggi, l’istituto tecnico è spesso visto come l’approdo dei ragazzi che non trovano grandi motivazioni nello studio. Questo fa sì che molti di loro, dopo il diploma, non intraprendano un percorso nel settore, e che, ancor prima, rappresentino un problema per coloro che sono motivati ed hanno scelto quel tipo di percorso consapevolmente”.
Un tuo suggerimento per superare questa crisi?
“Il successo di un’azienda si costruisce sui propri dipendenti. Il lavoro deve essere dignitoso e deve garantire a tutti di poter vivere in maniera decorosa. Spesso ho letto e sentito dire che i lavoratori preferirebbero ricevere uno stipendio inferiore per avere maggiore tempo libero, ma com’è possibile accettare un tale compromesso se, come stipendio base, si guadagnano 800 euro al mese? Si dovrebbe iniziare a ragionare su un salario minimo più consono, che garantisca maggiore dignità a tutti i lavoratori. Fortunatamente nella mia attuale esperienza, seppur con le normali problematiche che quotidianamente si verificano in ogni posto di lavoro, ho trovato un ambiente positivo e rispettoso nei confronti dei dipendenti”.