Tra i suoi punti di forza ci sono il miglior equilibrio tra la vita lavorativa e la vita privata, il risparmio di tempo negli spostamenti, la maggiore flessibilità dell’orario di lavoro e una maggiore produttività mentre restano punti critici la mancanza di supervisione, l’isolamento sociale, i problemi tecnici e di connessione. È quanto emerge dai dati raccolti nei mesi scorsi dai sondaggi sull’uso dello smart working in Valle d’Aosta realizzati dalla consigliera di Parità, Katya Foletto, a cui hanno risposto 112 lavoratori dipendenti e 30 enti pubblici e privati. I risultati sono stati presentati ieri sera, martedì 20 maggio, nella sala conferenze della biblioteca regionale di Aosta.
Dai dati raccolti emerge che l’80% degli enti che hanno partecipato al sondaggio – di cui il 60% sono pubblici, in particolare Regione e Comuni – prevede lo smart working ma solo il 26,7% lo applica sempre. “Nessuno ha risposto mai”, dice Foletto, spiegando come tra le motivazioni che portano le imprese e gli enti pubblici intervistati a farne uso ci siano una maggiore flessibilità, un aumento della produttività e un’attrazione dei talenti, segno che lo smart working “viene proposto come un elemento per scegliere la propria azienda”. Tra le sfide, ci sono il monitoraggio della produttività – lavorare da remoto “viene visto come un modo per sfuggire al controllo dei dirigenti”, spiega la consigliera di Parità -, la sicurezza dei dati, la comunicazione e la collaborazione del team. Nonostante ciò, lo smart working continuerà ad essere applicato dal 60% degli enti che hanno partecipato al sondaggio.
Il 62,7% dei lavoratori intervistati – di cui il 92% è impiegato e il 72% lavora nel pubblico – reputa che questo modo di lavorare sia usato consapevolmente per la conciliazione, mentre per il 37,3% non è uno strumento utile per garantire l’equilibrio tra il lavoro e la vita privata. Per il 50,5% il lavoro da casa è uguale al lavoro di ufficio, mentre il 45% sostiene di lavorare di più in smart working rispetto a quando è in presenza. Il 54,5% lo reputa un’esperienza molto positiva, il 2,7% negativa.
Il tema è stato approfondito anche nella ricerca “Smart West” portata avanti dall’Università della Valle d’Aosta, grazie ai fondi del Pnrr, e curata dai professori Alberto Lacchia e Massimo Zanetti. L’analisi – cominciata nel 2022 per studiare l’evoluzione dello smart working nel passaggio dalla fase emergenziale della pandemia al post Covid – ha coinvolto i vertici di una ventina di aziende valdostane in una serie di interviste qualitative. La ricerca proseguirà con un sondaggio rivolto ai lavoratori.
“Dalle interviste realizzate esce un quadro positivo del settore economico privato valdostano, con una buona preparazione delle aziende di tutte le dimensioni allo smart working – spiega Lacchia -. Già prima della pandemia avevano affrontato un buon processo di digitalizzazione, migliore rispetto ad altre parti d’Italia e competitivo” grazie “al passato industriale valdostano legato al Canavese e alla ex Olivetti”. A rendere “scettici” i proprietari delle imprese è “la paura di perdere il controllo“. Un timore “piuttosto irrazionale – dice il professore -: abbiamo parlato con molti datori di lavoro e i più scettici sull’uso dello smart working se interrogati sulle performance aziendali hanno evidenziato un aumento del fatturato. Questo aspetto è stato affrontato con una cultura aziendale di fiducia verso il lavoratore, fissando degli obiettivi raggiungibili”. Tra le noti dolenti, emerge “la necessità di un’adeguata formazione sugli strumenti dello smart working, come la suite di Google. Questo vale di meno per le grandi aziende mentre è proprio tipico nelle piccole aziende”.