All’indomani della frana sul Cervino, che non ha coinvolto persone, ma ha richiesto l’evacuazione di tredici alpinisti di varie cordate a monte del crollo, il dibattito anima gli addetti ai lavori. Il rischio di crolli importanti legati alla siccità era un tema sul tappeto da tempo, tanto che le guide avevano scelto di non accompagnare più clienti sulla Gran Becca dal 20 luglio, ma degli scalatori si trovavano comunque in parete. Lo spartiacque tra scuole di pensiero è: resta percorribile il modello di frequentazione della montagna vissuto fino ad oggi, retto dall’autocoscienza di chi ci si reca, o è improcrastinabile che si apra l’era di provvedimenti di interdizione delle aree pericolose?
Camanni: “Informazione malata”
L’interrogativo, che presenta implicazioni non esclusivamente tecniche (anche economiche, si pensi alle ricadute sulle attività nelle località alle pendici dei versanti), è nell’aria dallo scorso 3 luglio, data in cui il crollo di un grosso seracco sulla Marmolada causò 11 vittime. Ed è proprio sul parallelismo tra quanto accaduto sulle Dolomiti e ieri in Valle che lo scrittore ed alpinista Enrico Camanni dice la sua in un post su Facebook intitolato “Pezzi di Cervino”. “I tredici alpinisti evacuati in elicottero dopo il crollo erano avvertiti che la cresta del Leone era pericolosa, tanto che le guide avevano sospeso le scalate da due settimane, ma a differenza di quei disgraziati di un mese fa non subiranno la lapidazione collettiva” sono le sue parole.
“Questo dimostra quanto sia malata l’informazione che si nutre di sangue, sgomento ed emotività ignorando le radici profonde, come non importasse conoscere, figuriamoci capire, ma bastasse urlare”, aggiunge lo scrittore. “Alla ricerca del vero – continua il post – abbiamo sostituito la tragedia, la commedia, la riduzione teatrale della realtà, perché chi sa la verità è complice (‘anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti’ cantava De André), invece lo spettatore assiste, magari si commuove, ma è esonerato da ogni responsabilità. Si accendono le luci e la rappresentazione svanisce”.
Caveri: ripensare le responsabilità
Affidato ad un “tweet” è invece il pensiero di Luciano Caveri, attualmente assessore regionale all’istruzione, ma con un passato da Parlamentare (nazionale ed europeo) occupatosi di numerose questioni della montagna (e con un ruolo di regia nell’“Anno internazionale” delle cime, proclamato dalle Nazioni Unite per il 2002). “Con molte alte cime che perdono pezzi per via del riscaldamento globale bisognerà ripensare con chiarezza alla catena di responsabilità – è il “cinguettio” – con legislazioni chiare in materia per evitare una giurisprudenza tipo Arlecchino”.
Manes: attenti alla deriva legislativa
Al tema della disciplina sono ovviamente sensibili gli eletti degli enti locali, quelli che hanno le montagne sui loro territori e quindi posseggono i primi poteri d’inibizione. Quest’oggi il sindaco di Valtournenche Jean-Antoine Maquignaz è intervenuto per la chiusura della via normale al Cervino attraverso un’ordinanza, necessaria per il compimento dei sopralluoghi dei tecnici dopo la frana, ma il tema giuridico lascia tutt’altro che indifferenti gli amministratori. Il punto, nello specifico, è: il Comune deve intervenire muscolarmente inibendo ciò che sarebbe già vietato dal patrimonio di competenze e saperi condiviso dagli alpinisti?
Franco Manes, presidente del Celva e sindaco di Doues, osserva al riguardo che “l’ancestrale equilibrio tra uomo e pianeta, tra connettere i propri limiti all’ambiente (e non solo naturale) è oramai venuto meno anche a causa di una deriva della legislazione e dell’abnorme crescita delle responsabilità connesse”. La società è ormai schiava del trovare un responsabile, sempre e acomunque? Chi non ha dubbi (ma da tempo) sulla “linea dura” è Jean-Marc Peillex, sindaco di Saint-Gervais, comune francese dal quale parte l’ascensione sul Monte Bianco dalla via del Goûter.
Peillex: basta sfidare le raccomandazioni delle guide
Riscontrati vari tentativi di salire in vetta nonostante le raccomandazioni sulla siccità, analoghe a quelle sentite per il Cervino (uno dei quali con i gendarmi del PGHM ad intimare, dall’altoparlante del loro elicottero, di ritornare a valle ad un gruppo di persone in short e scarpe da ginnastica) ha lanciato la provocazione con un comunicato stampa in cui annuncia che la municipalità potrebbe introdurre una nuova misura in fatto di salite sul “Tetto d’Europa”.
Ed è presto spiegata: esiste chi vuole fare l’ascensione portandosi la morte nello zaino? Va bene, ma che anticipi pure i costi del soccorso e del suo funerale, perché “è inammissibile che sia il contribuente francese a farsene carico”. “Qualsiasi alpinista che vorrà sfidare le raccomandazioni – si legge nella nota – dovrà versare una cauzione di 15mila euro, somma che corrisponde al costo medio di un soccorso (10mila euro) e alle spese di sepoltura della vittima”.
Marlier: serve la prevenzione
E le guide alpine valdostane? Il loro presidente, Ezio Marlier, sceglie un cammino diverso, quello della sensibilizzazione. “Penso che una buona comunicazione ed informazione – afferma – producano molto più delle solite ‘dichiarazioni bomba’, che non scaturiscono il dovuto messaggio”. Ricorda poi, riguardo alle decisioni assunte negli scorsi giorni, che le società locali dei professionisti della montagna hanno “titolo di imporre limitazioni, ma solo per i propri associati e colleghi, quindi solo per le guide alpine: la montagna rimane libera a chiunque abbia voglia di andarvi”.
Certo – è il “fotogramma” immediatamente successivo nel ragionamento della guida al vertice dell’Uvgam – “se la nostra presa di posizione viene seguita siamo felici, ma non è vincolante per chi non è guida alpina”. Diverso è “se un sindaco emette un’ordinanza”, sicché “la violazione a tale atto è già perseguita amministrativamente” e il perimetro della questione diventa necessariamente quello giuridico.
Comune: mai dare scontati i soccorsi
Guardando alle opportunità disponibili a chi fa oggi alpinismo, Paolo Comune, direttore del Soccorso Alpino Valdostano, riflette sui recenti interventi per aiutare scalatori bloccati in quota dal maltempo e trova anzitutto “impensabile, con le previsioni meteorologiche ormai precise che ci sono, trovarsi a determinate quote, in certi orari, e farsi sorprendere, arrivando in condizioni di non potersi più muovere, né salire, né scendere, a causa dell’ipotermia, e quindi andare incontro a morte quasi certa”.
Condizioni che espongono a pericoli i soccorritori stessi, perché “andare su una via in montagna, che non viene più effettuata (dalle guide, ndr.) per il rischio elevato di caduta massi, mette seriamente in difficoltà”. “Il Soccorso alpino c’è, si impegnerà sempre al massimo per chiunque, – dice il Direttore – ma il messaggio è: non datelo per scontato. Non date per scontato che si venga soccorsi durante un temporale. Magari bisogna aspettare la schiarita, che arriva il giorno dopo e sappiamo tutti che passare una notte a 4mila metri, bagnati, non è indifferente”. Come non lo è praticamente nulla di questo tema, ma occorre quantomeno rendersene conto. Tutti.