Richiesta di arresto per Rollandin, nelle 100 pagine della Procura la mappa dell’Impero

Nel primo articolo sulle motivazioni per cui il pm Luca Ceccanti, nello scorso gennaio, riteneva necessario arrestare Augusto Rollandin, delineiamo la vicenda del trasferimento del Caseificio valdostano nei locali a suo tempo occupati da Deval.
Augusto Rollandin
Politica

Occupano cento pagine le motivazioni per cui il pm Luca Ceccanti, nello scorso gennaio, riteneva necessario arrestare Augusto Rollandin, nell’ambito dell’inchiesta in cui, due mesi prima, erano finiti ai “domiciliari” (poi revocati alla vigilia di Natale 2017) gli altri indagati cui la Procura contesta oggi, assieme all’ex Presidente della Regione, l’associazione a delinquere, l’imprenditore Gerardo Cuomo e il già manager Finaosta Gabriele Accornero.

La richiesta di misura cautelare non è ancora relativa a quell’ipotesi, formulata successivamente al rigetto della custodia in carcere da parte del Gip Giuseppe Colazingari (avvenuto il 30 aprile scorso), ma all’emergere, nel periodo tra il 2013 e la fine del 2016, di “gravi indizi di colpevolezza”, a carico dell’esponente dell’Union Valdôtaine, rispetto al reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio. Al centro di tutto vi è quello che il pubblico ministero definisce “preciso ed articolato patto corruttivo” tra il titolare del “Caseificio valdostano”, l’ex consigliere delegato del Forte di Bard e l’amministratore pubblico.

Il subentro del “Caseificio valdostano” a “Deval” all’autoporto

Un “pactum sceleris” – saldatosi, secondo gli inquirenti, sulla vicenda dell’ampliamento della ditta di Cuomo, tramite il subentro alla “Deval” nei locali da questa inizialmente occupati a Pollein, di proprietà della “Autoporto SpA” – che avrebbe il suo punto di convergenza nel “confluire degli interessi strategici di matrice politico-amministrativa del Rollandin con quelli, altrettanto strategici, di matrice economico-imprenditoriale del Cuomo”. Accornero, pubblico ufficiale quale dirigente di “Finaosta”, avrebbe avuto il ruolo di “trait d’union” tra le due figure.

Con servizi di pedinamento, di controllo, intercettazioni telefoniche ed ambientali (anche attraverso un falso virus immesso nel cellulare di Rollandin), setacciando documenti e sentendo decine di persone, i Carabinieri del Reparto operativo hanno ricostruito la vicenda, che origina – come riconosciuto da lui stesso dinanzi ai magistrati – dall’iniziativa di Cuomo che, confrontato nel suo business ad “un mercato che si apriva in un modo vertiginoso”, nota “il capannone Deval che sembrava dismesso”. A quel punto, “chiesi ad Autoporto a chi potessi rivolgermi per avere quei capannoni”.

Da lì, i passi successivi, con l’imprenditore alimentare a bussare alle porte delle due partecipate regionali per “sondare” l’ipotesi da lui auspicata. Quindi, visto il ripetuto respingimento delle sue richieste, “parlai tante volte con Accornero, anche perché io ero convinto che con la mia azienda davo lustro alla Valle d’Aosta e contribuivo ad incrementare l’occupazione”. Per parte sua, l’ex manager Finaosta (società che partecipa interamente sia “Deval”, sia “Autoporto”) “mi ripeteva sempre di non preoccuparmi, che ci avrebbe pensato lui, e credo che si riferisse al fatto che avrebbe parlato con” le due controllate.

Lo fa, ma per il pm il trasferimento dell’azienda elettrica in altra sede, mai “preso in considerazione”, né “contemplato in alcun piano operativo o industriale”, giunge a termine solo “per il costante, pressante, pervasivo interessamento di Rollandin”, “attivato” da Cuomo stesso (“sicuramente, incontrandomi con lui, ho parlato della mia intenzione a trasferirmi”). E’ l’allora Presidente che, per la Procura, “reiteratamente abusando della sua qualità ed esercitando in modo distorto i suoi poteri” ha consentito “a Cuomo il raggiungimento di un obiettivo altrimenti insperabile”. A farne le spese, per gli inquirenti, la stessa “Deval”, per cui lo spostamento “non ha comportato alcun beneficio, né in termini di maggior comodità logistica, né in termini economici”.

Il risultato sarebbe stato raggiunto dall’allora Capo dell’esecutivo “abusando pervicacemente della propria qualifica istituzionale”, attraverso una “continua attività di richiesta e larvata, ancorché univoca, pressione” nei confronti degli amministratori delle due società controllate interessate, con “ripetuti e reiterati interventi e richieste finalizzati a liberare i locali occupati e pretesi dal Cuomo”. L’azione avrebbe incluso “perentorie convocazioni per incontri presso la presidenza della Giunta” ed inviti a risolvere la questione, “espressamente e con perentoria veemenza dichiarando che in quei locali avrebbe dovuto trasferirsi il ‘Caseificio valdostano’”.

La conclusione messa nero su bianco nella richiesta di arresto è che il solo motivo per cui l’azienda alimentare abbia potuto occupare gli spazi già “Deval” è esclusivamente nella “sinergia criminale tra Rollandin, Cuomo e Accornero”. “Tutti i soggetti che hanno recitato un ruolo nella rappresentazione in questione – scrive il pm Ceccanti – hanno misurato le proprie mosse esclusivamente in quanto sollecitati, direttamente o indirettamente, da Rollandin”.

Inoltre, sentiti dagli inquirenti, “hanno confermato gli interventi di Rollandin (e di Accornero) a favore del ‘Caseificio’ e, sia pure con numerose ‘ritrosie’ derivanti dal percepibile timore reverenziale nei confronti di un personaggio ancor oggi in grado di condizionare la vita sociale ed economica valdostana, hanno dichiarato che senza l’intervento” dell’ex Presidente l’“operazione illogica, insensata e dannosa” che ha interessato i locali di località autoporto “non sarebbe mai stata portata a termine e, a ben vedere, neanche discussa”.

Il prezzo maggiore, scrive il pm, lo paga Giorgio Bongiorno, amministratore delegato di “Deval” al tempo. “Non solo – si legge – è stato costretto ad accondiscendere ad un trasferimento dannoso per la società da lui amministrata ma, addirittura, è stato rimosso dall’incarico di amministratore, con una decisione che, per quanto fortemente giustificata con una fisiologica necessità di avvicendamento, appare il frutto di una vera e propria epurazione conseguente alla ‘ribellione’ alla decisione del Presidente della Regione”.

La revisione e l’unificazione dei contratti d’affitto

La “strumentalizzazione del proprio ufficio” operata da Rollandin, annota il sostituto Ceccanti, non si sarebbe fermata con l’ingresso del “Caseificio” negli spazi cui il suo titolare ambiva. A quel punto, i contratti in essere tra l’azienda di Cuomo e la “Autoporto” sono almeno cinque e l’imprenditore “inizia ad operare per una revisione in senso a lui favorevole”. Sin dall’inizio, la proprietaria dei locali, però “manifesta con fermezza l’impossibilità di accondiscendere alle richieste”, che peraltro “contrastano con la prassi commerciale da sempre seguita e con il trattamento riservato a tutti gli altri affittuari”.

In particolare, le visioni differiscono sulla durata contrattuale e sullo sconto mensile da applicare all’inquilino. In quel momento, è la tesi della Procura, interessa Rollandin, inserendolo tra i destinatari della corrispondenza con le partecipate sull’evoluzione delle trattative, “quale monito ed avvertimento, implicito ma chiarissimo, per la proprietà: le richieste devono essere accettate perché questa è la volontà del Presidente della Regione”.

Il “numero uno” dell’Esecutivo, “preso atto delle difficoltà del sodale Cuomo”, interviene, operando come regista di un’operazione spregiudicata e completamente illegittima”. Nella ricostruzione degli inquirenti, “prende l’iniziativa di convocare le parti presso la Presidenza della giunta regionale” per una riunione cui partecipano i rappresentanti delle controllate interessate, ma anche lo stesso imprenditore e Accornero. Un “meeting” dallo svolgimento che il pm definisce “financo surreale”, con “l’unico obiettivo di indurre ‘Autoporto’ a venire incontro” alle richieste dell’imprenditore.

Non è però, rilevano gli inquirenti, ancora sufficiente perché l’amministratore delegato della proprietaria dei locali, Roberto Malcuit, non arretra. In riunioni successive, viene quindi decisa “la nomina di un perito, Carlo Pessina”. Una scelta, viene annotato nell’ordinanza, “sicuramente finalizzata a conferire uno schermo di formale legittimità alla stipulazione del contratto in senso favorevole a Cuomo”.

La perizia che segue “è completamente favorevole” al locatario, “sia perché propone una durata mai applicata da ‘Autoporto’ (15 anni + 15 anni), sia perché pervede un’applicazione retroattiva del canone di locazione come rideterminato dallo stesso perito”. La spiegazione, per la Procura, è nel fatto che “Pessina è soggetto legato da intensi rapporti amicali e di interesse sia a Cuomo, sia ad Accornero, sia a Rollandin ed è stato destinatario, negli anni, di incarichi di consulenza attribuiti sia dal ‘Caseificio valdostano’, sia da enti pubblici e società partecipate”.

In sintesi, “Pessina non è un consulente terzo ma, al contrario, un vero e proprio sodale di Cuomo e dei pubblici ufficiali che, negli ultimi anni, hanno costantemente operato nell’esclusivo interesse del titolare del ‘Caseificio’”. Al riguardo, la circostanza che la perizia, “proprio per i rilevanti profili di illegittimità tecnica” non fosse stata, allo scorso gennaio, “seguita dalla stipulazione del contratto, niente toglie alla illiceità dell’intera operazione”.

 

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