La fuga dei medici, Anaao lancia l’allarme: “Situazione valdostana inquietante”
“Negli ultimi 3 anni il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 21mila medici specialisti. Dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8.000 camici bianchi per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità al 100%”.
È impietoso il quadro nazionale che emerge dallo studio realizzato dal sindacato medico Anaao Assomed sulla situazione del Sistema sanitario italiano. Il report cerca di capire anche le cause di questa emorragia: “Anche i medici sono vittime del fenomeno meglio noto con l’espressione Great Resignation, il significativo aumento delle dimissioni, che vede un numero crescente di persone in numerosi ambiti lavorativi lasciare il loro impiego. Le cause che portano a questa drastica decisione sono le più svariate: dal burnout, alla ricerca di un posto che preservi il proprio benessere, al desiderio di poter avere la possibilità di gestire le giornate di lavoro difendendo il work-life balance. Complice dell’innesco di questo meccanismo è stata sicuramente la pandemia che ha nettamente peggiorato le condizioni di lavoro negli ospedali”.
“Evidenza recente”, prosegue lo studio Anaao condotto da Carlo Palermo, Chiara Rivetti, Pierino Di Silverio e Costantino Troise, è “il fenomeno delle dimissioni dagli ospedali, con i medici che decidono di abbandonare il tanto ambìto e prestigioso posto a tempo indeterminato”.
Lo “stallo” del 2020
E mentre il 2020 ha visto la riduzione di licenziamenti e abbandoni dovuto all’arrivo della prima ondata pandemica – “per non abbandonare i colleghi proprio durante la peggiore crisi sanitaria dell’ultimo secolo”, si legge nel documento –, nelle ondate successive “i medici hanno lavorato sempre nella stessa approssimazione e improvvisazione organizzativa della primavera 2020. Letti, professionalità e persone riconvertiti a seconda delle necessità, senza alcuna condivisione delle decisioni. Operatori spostati come pedine, un nome in una casella, non di rado vuota, causa infezione da Sars-CoV-2”.
Numeri alla mano, “i dati del 2020 e del 2021, tratti dal database Onaosi, confermano il persistere di una quota importante di licenziamenti (da 2000 a 3000) che si aggiungono alle uscite per pensionamento”. E dunque, prosegue lo studio Anaao “nel 2021, riprende la grande fuga”, ovvero “2.886 medici ospedalieri, il 39% in più rispetto al 2020 ha deciso di lasciare la dipendenza dal SSN e proseguire la propria attività professionale altrove”.
Anzi, “nel 2021 la media nazionale dei medici dipendenti che hanno deciso di licenziarsi è stata del 2,9%, percentuale abbondantemente superata dalla Calabria, 3.8%, e dalla Sicilia, 5.18%. La Lombardia, che era già oltre la media italiana nel 2020, aumenta ancora i suoi dimessi del 43%. La Liguria in un anno triplica i medici che si dimettono, la Puglia passa dal 2.04% al 3.29 %”.
Cosa dovrebbero fare le Aziende sanitarie?
Le Aziende sanitarie – prosegue il report Anaao – dovrebbero “incominciare a dare concrete risposte al disagio crescente che da tempo denunciamo”. Ovvero:
- gli orari di lavoro non sono “umani” e le condizioni di lavoro sono insicure anche in riferimento agli utenti;
- la flessibilità nell’organizzazione del lavoro è scarsa, in assenza di innovativi strumenti di welfare aziendale, in particolare considerando il processo di progressiva femminilizzazione della professione;
- gli stipendi non sono in linea con i contratti di lavoro sottoscritti e con le norme di legge;
- non vengono valorizzate le conoscenze e le competenze dei propri professionisti nei processi di “governo clinico” delle attività;
- non sono garantiti per i medici dipendenti percorsi di carriera e opportunità di crescita, esigenze che non si riesce ad accontentare.
A questo si aggiunge la necessità di “procedere alla rapida stabilizzazione del precariato” e ad “un cambiamento radicale nella formazione post-laurea. Occorre, in pratica, anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro”.
L’uscita “inquietante” dei medici valdostani
Oltre i numeri del report, colpisce il grafico allegato, nel quale la Valle d’Aosta svetta nel 2020 per percentuale di licenziamenti sul totale dei medici dipendenti del Servizio sanitario rispetto al 2019.
L’allarme a livello locale lo lancia Riccardo Brachet Contul, dirigente medico e segretario regionale del sindacato Anaao Assomed: “La situazione valdostana è sovrapponibile al 100 percento con quella italiana. In generale, i medici cercano orari flessibili e maggiore autonomia professionale. Lo svilimento dei dirigenti è esattamente quello che capita in Valle”.
La ricetta non è a breve termine: “Serve un serio cambiamento – aggiunge Brachet –, sburocratizzare il nostro lavoro e renderlo più autonomo, poter decidere gli investimenti invece di dare il tutto in mano ad altri. Sono dinamiche che sono sfuggite di mano. In Valle la situazione stride perché l’ospedale è medio-piccolo e ci si affida a cooperative che però non danno continuità assistenziale, l’abbiamo già visto. Dall’altro c’è un aumento incredibile delle liste d’attesa”.
Brachet, commentando i numeri valdostani, non usa mezzi termini: “Per la Valle d’Aosta è stata inquietante la prima ondata 2020. Abbiamo avuto un’uscita di circa il 13%, pari a 41 medici su circa 320. Oltre a quello, invece, nella seconda ondata ne abbiamo persi 9, circa il 3%. Anche la media tra 2020 e 2021 è inquietante, fa 8,5 medici l’anno, tra i valori peggiori d’Italia”.
La fuga non si ferma, e le soluzioni non saranno a breve termine: “Con il nuovo Direttore generale e l’Assessore si sta muovendo qualcosa, anche riguardo le indennità, ci sono confronti. Gli elementi per contrastare il fenomeno c’è. Ma non sarà semplice perché sono manovre almeno a medio termine. Molti vanno in altre regioni e soprattutto in Svizzera, anche nella sanità privata, dove si lavora parecchio ma guadagnando nettamente di più”.
Problema nel problema: “La questione in Valle – chiude Brcahet – è che la sanità pubblica rimarrebbe ‘un po’ smilza’ ma resta comunque l’ospedale pubblico. Qui non ci sono numeri sufficienti per il privato. Se i pazienti dovranno sempre più rivolgersi al privato per delle prestazioni complesse questo significherà andare fuori regione. I cittadini dovrebbero preoccuparsi”.