L’invito di Intercultura ad ospitare studenti stranieri, “un messaggio di pace in questi tempi di guerra”

Ogni anno 800 famiglie italiane aprono la loro casa a ragazzi provenienti da tutto il mondo, per un periodo che va dalle quattro settimane ai dieci mesi. Attualmente tre famiglie valdostane stanno ospitando ragazze provenienti da Giappone, Turchia e Paraguay.
Ayaka, studentessa giapponese ospitata con Intercultura in Valle D'Aosta
Scuola

“Credo che, specialmente in questo momento storico, sia importante ricordare che per combattere l’odio bisogna promuovere la pace e la comprensione tra i popoli, e Intercultura si pone proprio questo come obiettivo”, afferma Vittoria Charrère, volontaria di AFS ed exchange student negli Stati Uniti durante l’anno scolastico 2018/2019. L’associazione AFS (American Field Service) Intercultura nasce infatti durante la prima guerra mondiale come organizzazione di ambulanzieri per i feriti di guerra. Successivamente, la missione di pacifismo si converte nella promozione dell’interculturalità e della diversità, tramite programmi di scambio tra studenti di varie nazionalità. È questo l’approccio condiviso dai tanti adolescenti che partono da ogni angolo del mondo per approdare in un nuovo Paese, imparare una nuova cultura e portare un pezzo dell’“altro” a casa propria. Ma è soprattutto questo lo spirito che spinge, ogni anno, 800 famiglie italiane ad accogliere nelle loro case ragazzi provenienti da tutto il mondo, per un periodo che va dalle quattro settimane ai dieci mesi. Un modo per “aprire il proprio mondo al mondo“, come recita lo slogan di Intercultura, perché “mettersi in gioco non è solo una questione da ragazzi”. “Con questa esperienza non sono solo i ragazzi ad arricchirsi culturalmente e personalmente, vivendo un’esperienza fondamentale della loro vita”, spiega Vittoria, “ma anche le famiglie scoprono nuovi aspetti di sé, dinamiche e caratteristiche che fino a quel momento non avevano notato. Nuove abitudini, nuovi punti di vista e, soprattutto, nuove persone da amare”. 

Quest’anno sono tre le famiglie valdostane ad aver accettato la sfida e ad aver approfittato di un’esperienza che permette, in un certo senso, di viaggiare e scoprire nuovi mondi restando a casa propria. Le tre ragazze che passeranno alcuni mesi in Valle D’Aosta si chiamano Ayaka, Ekin e Marcela, e vengono dal Giappone, dalla Turchia e dal Paraguay. Sia Ayaka sia Ekin frequentano il Liceo Linguistico É. Bérard e sono ospitate, rispettivamente, per dieci e sei mesi. La scelta dell’Italia come destinazione del loro soggiorno all’estero è stata motivata dalla vivacità della nostra cultura e popolazione, oltre, ovviamente alla buona cucina. “Volevo allargare i miei orizzonti, il Giappone è isolato dal resto del mondo e pensavo che per conoscere davvero un’altra cultura dovevo sperimentarla in prima persona”, spiega Ayaka. “Ho scelto l’Italia anche perché sono interessata alle arti e alla moda, ma soprattutto perché amo la cucina italiana, che è la cosa più importante quando si tratta di vivere in un altro Paese!”, aggiunge Ayaka, che ha potuto apprezzare le specialità valdostane in occasione della Fiera di Sant’Orso.

Pian piano, le tre ragazze si stanno ambientando alla vita scolastica e alla convivenza con le loro host family, ma a turbare, in qualche modo, la loro routine è stato lo scoppio della guerra russo-ucraina. Una notizia che ha colpito la sensibilità di queste studentesse che si trovano così distanti dal loro Paese natale, da cui sono partite con motivazioni e convinzioni totalmente opposte a quelle su cui si fonda ogni conflitto. “Sono cresciuta con la convinzione che non sarei mai andata incontro ad una guerra e ora mi sembra assurdo che se ne stia combattendo una a poche ore di volo da qui. Se fossi in Giappone mi sembrerebbe una realtà più lontana, ma adesso che sono in Italia mi sembra qualcosa di più vicino, che ci riguarda e ci interpella tutti”, rivela Ayaka. Se Ekin vorrebbe trasmettere un messaggio di pace, nella speranza che “possiamo un giorno andare d’accordo e vivere insieme in questo mondo”, Ayaka invece riflette sull’importanza di ottenere informazioni affidabili sul conflitto: “Penso che non dovremmo dipendere solo dai social media, che in Giappone possono dare notizie diverse da quelle che sento in Italia, causando ancora più fraintendimento e preoccupazione. Abbiamo il diritto di conoscere e di condividere informazioni esatte sul conflitto”. È una questione scottante quella della guerra, su cui le tre ragazze possono confrontarsi con le loro famiglie ospitanti, arricchendosi reciprocamente di nuovi punti di vista. 

Ma la guerra è un’emergenza che sta a cuore soprattutto all’associazione AFS, che ha deciso di promuovere una propria raccolta fondi per contribuire all’acquisto di un’ambulanza. “Un modo concreto, ma anche altamente simbolico, di sentirci parte della storia di AFS e di dare seguito all’eredità degli ambulanzieri”, si legge sul sito, poiché “in situazioni come questa la missione di Intercultura e AFS appare più chiara e importante che mai”. L’invito a consultare il sito è rivolto, dunque, a chi volesse contribuire alla raccolta fondi, ma soprattutto a tutte le famiglie interessate ad ospitare studenti stranieri nel prossimo anno scolastico, che possono ottenere informazioni anche scrivendo alla mail afs.intercultura.aosta@gmail.com o contattando Viviana Lettry (3471351398), responsabile dei programmi di accoglienza di Intercultura per la Valle D’Aosta.

3 risposte

  1. Non è un se ipotetico: Ayaka non “riflette/rifletterebbe” solo se Ekin “vuole/vorrebbe trasmettere un messaggio di pace”. È possibile sostituire il condizionale con un presente, (“Se, da un lato, Ekin vorrebbe/vuole trasmettere un messaggio di pace…Ayaka invece/dall’altro riflette…”), ma non di certo con un congiuntivo, che cambierebbe completamente il senso del periodo.

    1. *solo se Ekin “vuole/volesse trasmettere un messaggio di pace” (nel caso di un’ipotetica ci vuole il congiuntivo)

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