Accoglienza profughi in Valle d’Aosta: “Qualcuno più straniero di altri”
“Chiunque può essere un profugo, anche gli europei”: questo è l’insegnamento consegnato da una persona nigeriana nelle mani di Tiziana Gagliardi, l’operatrice del centro di accoglienza che lo ha ospitato per lungo tempo ad Aosta. In effetti, la guerra in Ucraina ci mostra come anche l’occidente sia vulnerabile e come, malauguratamente, anche a noi potrebbe capitare un giorno di scappare da un conflitto, “per questo – ricorda Tiziana Gagliardi – difendere il diritto d’asilo va nell’interesse nostro e dei nostri figli.”
Dello stesso avviso è l’associazione Refugees Welcome Aosta che ormai da tempo porta avanti la cultura dell’accoglienza dei profughi che da anni approdano dall’Asia o dalle rotte che prendono il via dall’Africa subsahariana. In questo momento, l’associazione siede al tavolo del terzo settore per supportare la protezione civile e le altre realtà di volontariato che si stanno adoperando per ospitare i profughi ucraini e per dare loro quello di cui necessitano. “Il fatto che già dopo le prime settimane dallo scoppio del conflitto, anche in Valle d’Aosta ci sia stata una risposta entusiasta proveniente dal mondo del volontariato è sicuramente un fattore positivo” sottolinea la portavoce di Refugees Welcome Aosta, Federica Mannoni che però evidenzia anche alcune perplessità nate alla luce dell’esperienza vissuta con i profughi che sono arrivati e continuano ad arrivare sulle coste dell’Italia meridionale.
Federica Mannoni esprime, però, una preoccupazione sul lungo periodo. Con lo scemare inevitabile dell’entusiasmo e con l’aumentare degli arrivi dei profughi, c’è da chiedersi quanto un sistema basato così fortemente sul volontariato riesca a reggere. Inoltre, questa spinta volontaristica è un fenomeno straordinario dato che “con i profughi africani è sempre stato difficile trovare famiglie che accogliessero coloro che hanno un permesso di asilo e molti di loro, nonostante abbiano un lavoro e a volte anche un contratto a tempo indeterminato, non riescono a trovare qualcuno che gli affitti casa”. “Insomma – dice la portavoce di Refugees Welcome- c’è sempre quell’ostacolo contro qualcuno che sembra più straniero di qualcun’altro.”
Anche l’ex operatrice di un centro di accoglienza per richiedenti asilo di Aosta, Tiziana Gagliardi ha voluto rimarcare la differenza di trattamento “tra i profughi che stanno arrivando dall’Ucraina e tutti gli altri profughi che sono arrivati in Italia.” Da una parte, le persone che stanno scappando dalla guerra in Ucraina godono di benefici dei quali quasi nessun profugo ha mai goduto prima, un esempio che l’ex operatrice riporta è la recente decisione del Comune di Aosta di non far pagare il servizio mensa e lo scuolabus ai loro bambini o le agevolazioni riguardanti i permessi di protezione firmati a Bruxelles. Dall’altra parte il sistema di accoglienza dei profughi ucraini che per il momento sta facendo leva sul mondo del volontariato “rischia di fare grandi danni per via dei volontari che per loro stessa natura non hanno una formazione adeguata e specifica: in questa situazione sono necessari dei professionisti dato che si ha a che fare con persone traumatizzate.”
A chiedere un trattamento uguale per tutte le persone costrette a lasciare il loro paese per salvare la loro incolumità è anche Mamadou Sow, un ragazzo che all’età di vent’anni ha lasciato la Guinea per potersi curare e per fuggire da una guerra etnica che ancora miete vittime. Mamadou Sow racconta di come appena sbarcato in Italia sia stato spedito in un centro di accoglienza di Palermo e messo in una camera al terzo piano nonostante, per muoversi, faccia uso di una carrozzina per via della poliomielite che lo ha colpito da bambino. E di come, per più di un anno, non sia stato visitato da nessun medico nonostante i segni delle violenze subite e delle ustioni che l’acqua del mare mischiata alla benzina del canotto gli hanno provocato durante la traversata del Mediterraneo. Ovviamente, quello che chiede Mamadou Sow è che “tutti i rifugiati che scappano dalla guerra e dalla povertà abbiano la stessa dignità e parità di trattamento.” D’altronde, come ama spesso ripetere don Luigi Ciotti che molto ha lavorato con i migranti di ogni dove “la speranza o è di tutti o non è speranza.”