C’è un buco nero al centro della Via Lattea. Anche la valdostana Liuzzo nel team che l’ha fotografato

Tre anni fa il mondo fu sorpreso dalla prima immagine di un buco nero supermassivo, chiamato M87. E, oggi come allora, nell’équipe del progetto internazionale Event Horizon Telescope c’è la radioastronoma valdostana Elisabetta Liuzzo, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.
L'immagine del buco nero supermassivo Sagittarius A*
Società

Tre anni fa, era il 2019, il mondo fu sorpreso dalla prima immagine di un buco nero supermassivo, chiamato M87, al centro della galassia Virgo A, a 55 milioni di anni luce dalla Terra. oggi, 12 aprile, in diretta mondiale, una nuova immagine – figlia e sorella di quella ricerca – è stata svelata. E, oggi come allora, nell’équipe del progetto internazionale Event Horizon Telescope c’è la radioastronoma valdostana Elisabetta Liuzzo, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.

Il mondo, oggi, ha potuto osservare la prima immagine in assoluto del buco nero super massiccio al centro della nostra Via Lattea, denominato Sagittarius A*, “captato” dall’innovativa ricerca tecnologica di Event Horizon Telescope a 27mila anni luce dal nostro pianeta. Un buco nero con dalla massa circa 4 milioni di volte quella del nostro Sole.

Dentro l’orizzonte degli eventi

L'immagine del buco nero supermassivo Sagittarius A*
L’immagine del buco nero supermassivo Sagittarius A*

Sull’importanza dello “scatto” si è soffermato – in conferenza stampa a Roma – Ciriaco Goddi dell’Università di Cagliari: “L’abbiamo sognata per più di vent’anni: la prima immagine del buco nero al centro della nostra galassia. La sua struttura è dovuta alla luce deflessa. Il materiale non cade all’interno del buco nero ma vi orbita attorno formando il disco di accrescimento. Questo segnala la presenza dell’orizzonte degli eventi, la frontiera del non ritorno, ed è l’obiettivo che ci eravamo posti di osservare”.

Concetto preconizzato dalla Teoria della relatività generale di Einstein e che, prosegue Goddi, rappresenta “una proiezione che si staglia contro un fondo luminoso, attorno alla quale si vede la curvatura dello spazio-tempo. I raggi non seguono una traiettoria rettilinea ma una curvatura. Se passano sufficientemente lontani dal buco nero sfuggiranno alla forte presa dell’orizzonte degli eventi, mentre gli altri saranno fagocitati creando questo disco”.

Una scoperta sorprendente nel cuore della nostra galassia. O, per dirla con Goddi, “di certo non siamo andati a caso, ma la Via Lattea ha circa 400 miliardi di stelle. In proporzione è stato come stiamo cercando una ciambella sulla Luna, e non esiste una tecnologia attuale per vedere una ciambella sulla Luna. Abbiamo quindi dovuto creare un telescopio speciale per queste osservazioni”.

Un telescopio dalla grandezza della Terra

Il telescopio Alma - buco nero
Il telescopio Alma

Nel suo intervento, Elisabetta Liuzzo ha spiegato le difficoltà tecniche che il progetto si trovato ad affrontare: “Per catturare l’immagine dell’ombra di un buco nero sarebbe servito un telescopio di diametro di 10mila chilometri, impossibile da costruire. Per superare questo problema siamo ricorsi a una versione della VLBI, la Very Long Baseline Interferometry, che simula un telescopio di dimensioni terrestri. Le antenne osservano simultaneamente lo stesso oggetto, i dati vengono spediti ad un super computer, calibrati e puliti dalle distorsioni”.

“La tecnologia è l’EHT – prosegue Liuzzo –, che utilizza la tecnica VLBI su scala globale. Sono antenne posizionate in siti dall’atmosfera più rada, per poter limitare al massimo le distorsioni del segnale che l’atmosfera può creare. Tra le antenne c’è stato un elemento cruciale: l’interferometro Alma, composto da 66 antenne, lo strumento più sensibile di tutta la rail e che si trova a 5mila metri in Cile. Senza questo EHT non sarebbe stata in grado di ricostruire l’anello del buco nero”.

“Per costruire EHT ci sono voluti decenni e una collaborazione estesa: da quelle ingegneristiche a quelle informatiche, passando da 13 stakeholders, 80 istituti affiliati di cui quattro italiani – ha concluso la ricercatrice Inaf –. L’immagine pubblicata è frutto di osservazioni fatte nell’aprile 2017, durante la stessa campagna osservativa che portò alla foto di M87 nel 2019. Il telescopio produce 4 petabyte di dati per ogni campagna osservativa e sono servite tecnologie ad hoc per processarli”.

Una tecnologia, che oggi ci mostra un oggetto più vicino ma circa 1.500 volte minore rispetto a M87, e che ha permesso di superare – da qui i tre anni di distanza tra una foto e l’altra – tutto il disturbo creato dal tessuto interstellare che ci divide dal centro della Via Lattea, in direzione della costellazione del Sagittario. Dove oggi, per la prima volta nella storia, ci siamo affacciati.

Schermata Elisabetta Liuzzo in conferenza stampa
Elisabetta Liuzzo in conferenza stampa

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