Clinica di Saint-Pierre: “Mio papà rimandato a casa senza fisioterapia”

La denuncia di una lettrice, Emanuela, di Brissogne che si è ritrovata in casa il padre 83enne dimesso da un giorno all’altro dalla clinica di Saint-Pierre senza aver completato il percorso di cura. "Doveva uscire sulle sue gambe, ora è praticamente allettato".
Clinica Saint-Pierre
Società

“Non è mia abitudine fare polemiche, né rivolgermi ai giornali, ma credo che alcune situazioni come quella che sta vivendo vadano raccontate per permettere alle persone di capire a fondo la situazione della sanità in Valle d’Aosta”. Inizia così il racconto delle sue vicissitudini Emanuela, 49 anni, di Brissogne.

Il 25 marzo suo padre, un uomo di 83 anni, si rompe il femore. Trasportato al Pronto soccorso dell’Ospedale Parini viene operato il giorno successivo. Dopo alcuni giorni di ricovero, il 2 aprile viene trasportato alla Clinica di Saint-Pierre per la riabilitazione. “Ci hanno prospettato che sarebbe uscito, tendenzialmente sulle sue gambe, il 22 aprile se andava bene, o eventualmente il 30 aprile se ci fosse stato bisogno di più tempo”.

Con grande sorpresa invece Emanuela il giorno di Pasquetta riceve una telefonata dalla clinica: “Dimettiamo vostro padre domani, dove ve lo portiamo?”. Niente più rieducazione, niente più fisioterapia: c’è fretta di sgomberare e rimandare a casa i pazienti, pochi, che, come il papà di Manuela, sono risultati negativi al tampone.

La struttura sanitaria ha registrato infatti diversi casi positivi tra pazienti e personale sanitario non solo nel reparto “Covid 19” allestito al primo piano ma anche al piano superiore dove si trovano i pazienti ricoverati per la riabilitazione fisica. Il papà di Emanuela è tra i “fortunati” ad essere risultati negativi al tampone e quindi deve lasciare, in fretta e in furia, la clinica. “La cosa, anche per come è avvenuta, ci ha lasciati sgomenti: mio papà è un omone di 100 kg, prima dell’incidente viveva ad Aosta da solo, in quanto completamente autosufficiente, ora dovrà venire a stare a casa mia perché non cammina e non è in grado di badare a se stesso” spiega la figlia.

Impegnata da oltre 16 anni per lavoro e volontariato nell’assistenza di persone con disabilità Manuela non si lascia certo scoraggiare dalla situazione: baderà lei a suo padre nonostante le indubbie difficoltà logistiche e materiali. Il problema è la totale assenza di accompagnamento e di indicazioni. “Nella lettera di dimissioni ci hanno scritto che ha bisogno di fisioterapia, di un deambulatore, tutte cose che non sappiamo davvero come reperire in questo momento”.

Le strutture riabilitative del territorio sono chiuse, l’anziano papà è difficile da muovere e trasportare. “Non so davvero come fare per restituire un po’ di autonomia a mio padre e permettergli di completare il suo percorso di cura per tornare a camminare, al momento è allettato”. Le risorse economiche per una soluzione fai da te e totalmente privata scarseggiano. “Papà deve continuare a pagare l’affitto di casa sua pur vivendo da me, io sono in cassaintegrazione, devo provvedere alla mia famiglia in una situazione che presenta già di per sè pesanti conseguenze economiche”.

Il rammarico di Emanuela è generale e si riferisce all’intera situazione sanitaria della Regione. “Sono consapevole della grande emergenza sanitaria che stiamo vivendo, ma non è che in questo periodo le persone non si ammalano più e non continuano ad avere bisogno di cura, non è accettabile che in una regione come la nostra vengano meno servizi e cure fondamentali per la vita delle persone”.

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