Coronavirus: l’Italia vista da fuori. Il racconto degli expat valdostani

Tanti i valdostani al momento lontani da casa e dall'Italia, expat in Europa e nel mondo. Abbiamo scambiato due parole con loro per capire meglio la situazione fuori dall'Italia.
europa, fondi europei
Società

Mentre in Italia la situazione da emergenza sanitaria mette in crisi ospedali e opinione pubblica, nel resto d’Europa i nostri vicini (ma non solo), sembrano molto meno stressati e impauriti dal covid-19 (conosciuto ormai come Corona Virus).

Tanti expat valdostani si trovano al momento in varie nazioni europee o extraeuropee per motivi di lavoro o di studio e le notizie che arrivano dalla loro terra di origine sono spesso filtrate dalle testate nazionali di riferimento o dalla loro percezione di residenti fuori Italia.

Per capire in maniera più approfondita come la situazione italiana venga percepita oltre i nostri confini siamo andati a scovare alcuni valdostani in Francia, Belgio, Lussemburgo, Austria, Svezia, Germania, UK, Libano e USA. Inoltre abbiamo raggiunto telefonicamente una expat speciale, in tour per lavoro in Europa e di ritorno da poco dalla Cina, paese da cui proviene il covid-19.

Parigi, Francia

Roberta Carrara, in Francia da più di 10 anni, racconta di una situazione in evoluzione rapida e continua. Fino alla sera di martedì 10 marzo la situazione era ferma al livello 2. Se gli assembramenti con più di 1000 persone sono vietati, la vita sembra ancora  fare il suo corso normalmente: “Ho paura che la Francia stia rischiando di sottovalutare la situazione, posso dare un quadro della situazione rispetto a quanto emerge nei media e nelle discussioni ordinarie: la maniera in cui se ne parla nei media e le dichiarazioni fanno molto nella considerazione collettiva della questione. I media francesi parlano molto della situazione italiana, vista la vicinanza dei due paesi e le misure drastiche che sono state adottate. Si è parlato dell’isolamento del nord Italia, delle prime zone rosse, delle difficoltà degli ospedali, dei supermercati presi d’assalto, della corsa folle al sud, e ora dell’isolamento totale del paese e la situazione nelle carceri”.

Se l’Italia rimane ancora agli occhi di tutti il paese da tenere d’occhio, di sicuro le ripercussioni economiche potrebbero spaventare: “Una situazione inedita e quasi surreale, che inquieta a diversi livelli: possibile riproduzione dello stesso scenario in Francia, per la vicinanza dei due paesi e nonostante le rassicurazioni dei portavoce del governo, danni economici per l’Italia ma anche per la Francia che ha delle importanti relazioni commerciali con il nostro paese, affettive per il disagio creato da una chiusura delle frontiere”.

La situazione oltre il Monte Bianco sembra aver sterzato clamorosamente poche ore fa, quando Macron ha annunciato di voler parlare alla popolazione domani giovedì 12 marzo, forse anche spinto dalla recente dichiarazione dell’OMS sullo stato di pandemia. I media francesi hanno iniziato a comunicare notizie sempre più inquietanti e questo ha fatto prendere coscienza ai francesi di una situazione di cui forse avevano sottovalutato la gravità; inoltre le visite nelle strutture per gli anziani sono state vietate.

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Roberta Carrara

Stoccolma, Svezia

Christina Sanson, italo-svedese, conosce molto bene la presa di posizione del paese scandinavo circa l’emergenza Coronavirus. Il paese, nella notte del 12 marzo ha visto anche il primo decesso per covid-19: “Per il momento il governo svedese ha preso solo provvedimenti di natura economica, per sostenere chi lavora e si ammala, così da non perdere detrazioni dallo stipendio. I costi saranno assunti dal governo per sostenere le piccole e grandi aziende. Chi non è malato deve però può andare al lavoro“. La paura è che la realtà non venga affrontata in maniera sufficiente: “Mi auguro che al più presto anche qui in Svezia si prendano provvedimenti maggiori e più restrittivi. In tutto il paese sono 354 le persone contagiate (90 dichiarate positive oggi, ndr 10 marzo 2020), di cui 207 nella sola Contea di Stoccolma. Folkhälsomyndigheten (l’Autorità di Sanità Pubblica svedese ndr), ha innalzato il rischio di diffusione generale dell’infezione in Svezia da “elevato” a “molto elevato”, la decisione è stata presa dopo che, appunto, un alto numero di persone sono state confermate infette nella contea della capitale e nell’area del Västra Götaland”.

Christina fa un lavoro a stretto contatto con le persone e per questo si impenna il suo livello di attenzione, forse anche sensibilizzata da ciò che accade in Italia: “Io lavoro come psicologa scolastica e quindi nelle scuole, cercando di adottare tutte le precauzioni possibili. Ho deciso, in caso di lavoro amministrativo, di svolgerlo da casa e non dalla mia scrivania al Dipartimento del Comune, di cui sono dipendente. Giovedì e venerdì, salvo disposizioni delle Autorità competenti, sarò di nuovo nelle Istituzioni di mia competenza, rispettando gli impegni presi. Nel frattempo voglio dare fiducia alle Istituzioni svedesi, assumendomi intanto, in prima persona, la responsabilità civica e sociale per tutelare la mia salute e quella degli altri, attenendomi scrupolosamente alle raccomandazioni fornite dalle Autorità, cioè: chiamare il numero pubblico appositamente istituito in caso di febbre (37,5 gradi), tosse o disturbo respiratorio e se si è stati nei Paesi a rischio (Cina, Hong Kong, Iran, Corea del Sud, Italia e parte austriaco del Tirolo) negli ultimi 14 giorni e se in contatto con qualcuno con Covid-19 negli ultimi 14 giorni. Se ci si sente bene, invece, non è necessario, nemmeno se si è stati in una zona a rischio. Vivo alla giornata, cercando di tenermi impegnata e non pensare”.

La situazione cambia rapidamente anche nel paese del nord Europa, ma la sensibilità nei confronti dell’Italia rimane la stessa: “In queste settimane mi sono tenuta aggiornata sull’evoluzione del contagio del coronavirus in Italia, quasi in tempo reale, attraverso sia i social media sia i mezzi stampa nonché i miei contatti personali. Io ho percepito una generale confusione su quanto stava accadendo, terrorismo mediatico gratuito e inopportuno, paura, panico, a diversi livelli (dalla persona comune al politico e via dicendo) e in maniera alquanto diffusa. Da fuori (intendo dall’estero) incredulità, difficoltà a realizzare il vissuto in loco a Milano, Firenze, Bologna, Napoli, Aosta, Torino, Venezia, Roma… città che conosco bene e che la mia immaginazione fa fatica a dipingere con il silenzio, il vuoto nelle strade, tutto fermo. Ciò che mi ha addolorato profondamente è stato il dito puntato contro gli Italiani in più occasioni, sui media e nella mia quotidianità: la paura mischiata al pregiudizio genera un connubio pericoloso e soprattutto inutile. Tuttavia, credo che lo scenario cambierà a breve, considerate la crescita veloce di casi anche qui. Ho voglia di rimarcare questa cosa, perché ferisce, sapendo che l’Italia è spesso presente in azioni di aiuto e solidarietà verso altre nazioni nel bisogno. Comunque, occorre specificare che stiamo parlando di due mentalità e culture diverse, le cui differenze sono difficili da spiegare e trasmettere. Vanno vissute: io le ho ereditate entrambe, avendo doppie origini, e le ho interiorizzate profondamente, comprendendo sia una prospettiva sia l’altra. Cerco di trovare sempre quel giusto e obiettivo bilanciamento nei vari accadimenti. Purtroppo, questa volta il quadro è più complesso e delicato”.

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Christina Sanson

Berlino, Germania

Il paese da cui sembrerebbe essere partito il vero paziente 0 europeo è costretto, come tutte le altre comunità, a far fronte a quella che viene ormai classificata come una pandemia. Caterina Gobbi, artista e dj valdostana, è di Courmayeur, ma da un anno risiede nella capitale tedesca per lavoro: “La Germania è colpita per la maggior parte nelle regioni a sud e a ovest, qui a Berlino per ora sembrano esserci solo 58 casi sotto controllo. Non c’è panico, ma attenzione, mi è capitato di andare due volte nello stesso negozio ieri e al mattino la cassiera era senza guanti, mentre al pomeriggio indossava guanti di lattice”. Oltre alle piccole misure che ognuno può adottare in maniera del tutto indipendente, il governo tedesco ha messo in atto alcune misure come “la cancellazione della programmazione dei grandi teatri e la chiusura di alcuni asili. Non sono ancora state rilasciate normative a livello statale, ma il ministro della sanità ha suggerito di cancellare tutti gli eventi con più di 1000 persone. Per il futuro le autorità stanno aspettando di vedere come si svilupperà la cosa nei prossimi giorni”.

Innsbruck, Austria

Sabrina Petey, per motivi di lavoro in Austria, racconta di un paese preoccupato dalla velocità con cui la malattia ha colpito la vicina Italia, ma ancora in una fase di prudenza e non di allarmismo: “In Austria, al momento, si registrano poco meno di 200 persone infette da Coronavirus. Un numero molto inferiore a quello registrato in Italia; e la situazione è, infatti, molto più tranquilla: a Innsbruck quasi nessuno indossa la mascherina. È comunque evidente che la gente stia cercando di limitare il più possibile i propri spostamenti in città, e anche il numero di turisti è diminuito rispetto a una settimana fa. Soprattutto per la vicinanza geografica, si teme lo svolgersi di uno scenario simile a quello italiano; si teme una crescita esponenziale dei casi come avvenuto in Italia, e per questo motivo il governo austriaco sta cercando di attuare misure preventive per contenere il più possibile la propagazione del virus”. Le misure non sono ancora ai livelli di quelle italiane, ma il Ministero degli Esteri sta richiamando tutti gli austriaci che si trovano sul territorio italiano. Al Brennero sono state adottare strette misure di controllo del traffico dall’Italia verso l’Austria: il passaggio per i cittadini italiani è possibile solo in casi giustificati e con l’obbligo di presentazione di un certificato medico. I voli e i treni da e verso l’Italia sono al momento sospesi.

E così anche le abitudini sul posto di lavoro e nella vita cambiano rapidamente: “L’organizzazione internazionale presso la quale sto lavorando ha invitato, in via precauzionale, tutti i collaboratori a lavorare da casa. Tale misura per il momento è stata prescritta per un periodo di due settimane, dopo le quali ci si auspica di poter tornare alla normalità. Ad ogni modo, già da una settimana, si era deciso di annullare tutti i meeting e i viaggi di lavoro previsti fino al mese di aprile”.

Luxembourg City, Lussemburgo

Eloise Villaz, di Morgex, è in stage al Tribunale dell’Unione, alla corte di Giustizia Europea, nel cuore delle istituzioni che nei prossimi mesi saranno fondamentali per aiutare anche l’Italia nella sua ripresa economica e la percezione della giovane valdostana è che “la situazione è tranquilla, per ora. Aziende ed istituzioni anche europee prendono provvedimenti per prepararsi all’eventuale shutdown e al telelavoro. Ci sono molti transfrontalieri, che vivono in Germania o Francia, o più semplicemente expat di ogni dove che lavorano a Lussemburgo, quindi il virus sembra venire dall’esterno. In generale, la gente sembra attenta, ma mantiene comunque le sue abitudini, evitando grandi assembramenti e concerti, che per esempio sono stati rimandati”.
Per quel che riguarda la situazione italiana la percezione è che “viene seguita e commentata, chi rientra da viaggi nelle zone rosse, fino a qualche giorno fa, ed ora da tutta Italia, è pregato di mettersi in autoisolamento. In generale, a parte gli italiani al telefono con la famiglia che si possono sentire camminando per strada, la situazione di quarantena di un intero paese sembra molto lontana dalla realtà lussemburghese”.

Bruxelles, Belgio

Ancora dal cuore del Vecchio Continente, arriva la testimonianza di Alessia Musumarra, per lavoro nella capitale belga da più di 10 anni. Il Belgio, come le zone limitrofe, non sembra per il momento voler pensare allo scenario più tragico, nonostante lo stato di pandemia dichiarato dall’OMS: “Al momento le cifre date a livello ufficiale parlano di 267 casi d’infezione, negli ultimi 3 giorni i numeri di quelli risultati positivi sono tra i 28 e i 39. Vengono però testati solo i casi “ospedalieri”, i casi “benigni” non vengono testati per non intasare i laboratori e viene consigliato di stare a casa. Non ci sono ancora stati casi di persone decedute; al momento siamo passati alla fase due, cioè quella dove non permettono eventi con più di mille persone,  vengono rimandati i viaggi studio nelle scuole, che però restano aperte, e dove le raccomandazioni sono quelle già note, come lo stare casa se si sta poco bene, non stringere le mani e non andare nelle case di riposo”. Alessia parla di “due mondi distinti: non ho la percezione che il governo e in particolare la Ministra siano stati molto preoccupati finora. Invece il mondo delle istituzioni e di tutte le organizzazioni che ruotano attorno è più sensibile: il parlamento europeo già da due settimane è chiuso a tutti gli esterni, cioè niente visite, conferenze, eventi o incontri con i deputati e oggi hanno deciso che nelle prossime due settimane credo non ci saranno riunioni delle commissioni. La plenaria che doveva essere a Strasburgo è stata di un giorno e mezzo e si è tenuta a Bruxelles. La commissione ha anche iniziato oggi ad annullare riunioni dove sono previste persone che vengono da altri paesi membri fino alla fine di marzo/inizio aprile. I vari uffici, organizzazioni, società di consulenza stanno iniziando a raccomodare di evitare contatti esterni e di portare il pc a casa con una ipotetica possibilità appunto che si proponga il telelavoro. Trovo ci sia un po’ di confusione perché, se da un lato hai le istituzioni che si blindano dall’altro la città rimane totalmente aperta”.

E mentre anche il Belgio fa i conti con i primi decessi, molte voci, soprattutto quelle degli expat italiani nel paese, ma anche quelle belghe, si stanno levando contro il governo per chiedere misure e decreti più restrittivi e sicuri, anche perché i casi conclamati sono saliti fino a 314, consapevoli che i test non sono tanti quanti in Italia.

Londra, Inghilterra

Chi racconta di una situazione abbastanza tesa è Nina Bal, da Londra, dove ha costruito la sua carriera e formato la sua famiglia: “Panico. Qui la gente ha paura, ma secondo me a livello di guardia siamo messi come in Italia 3 settimane fa: tutto ancora aperto, scuole e luoghi di aggregazione compresi. L’unica accortezza che viene comunicata è quella di lavare le mani più volte al giorno ed evitare il contatto ravvicinato. Purtroppo quello che si percepisce dell’Italia è terrible. Si parla di un lockdown generale e sembra che la nazione sia l’untore dell’Europa”. Nessuna misura più restrittiva sembra pronta a essere messa in atto nel paese concentrato più che mai sulla Brexit, ma Nina ammette di agire nel quotidiano in modo diverso: “Sto evitando di comprare nei negozi, evito le cene fuori e i tragitti che faccio con i bambini sono solo per il lavoro e la scuola, sto anche drasticamente diminuendo le ore di lavoro”.

Nina Bal

Voci extraeuropee arrivano invece da due stati agli antipodi per usi e costumi e anche per cultura: il Libano e gli Stati Uniti, dove abbiamo sentito le voci di Federico Borre, studente valdostano con sede a Ginevra, ma per Erasmus a Beirut e Nathalie Rollandin, ormai da diversi anni a New York per lavoro.

Beirut, Libano

Nelle viscere del Medio Oriente più esotico il covid-19 è arrivato con un po’ di ritardo, ma la situazione sembra evolversi molto velocemente e gli ultimi sviluppi sovvertono totalmente le previsioni del governo, come racconta Federico: “I contagiati dichiarati sono circa sessanta, questi sono solo quelli confermati. La popolazione fin dal primo caso ha cominciato a comprare tutte le maschere protettive in commercio e i gel antibatterici, forse in preda a un po’ di panico, anche se in generale la maggior parte della popolazione vive ancora la propria quotidianità normalmente. La vicinanza con l’Iran però fa si che la popolazione si preoccupi dei contagiati in provenienza da questo paese. Direi che la situazione è pari a quella dell’inizio dell’espansione del virus in Italia”.

Il Libano, geograficamente distante dalla nostra nazione, sembra interessarsi maggiormente ad altri stati, infatti “non si parla molto dell’Italia, bensì di paesi come l’Iran e la Cina. I libanesi sanno che l’Italia è uno dei paesi maggiormente colpiti e conoscono alcune delle misure drastiche imposte, però la situazione italiana non è al centro dei dibattiti, al momento di parla anche molto della Siria che non sta dichiarando i casi conosciuti e che, al confine con il Libano, rischia di diventare un problema”.

Le misure restrittive hanno subìto un’accelerata nel tardo pomeriggio di oggi (11 marzo ndr), quando l’ambasciata italiana ha consigliato ai connazionali sul territorio di lasciare il paese con dei voli Alitalia che, sembra, verranno messi a disposizione dal governo: “Da circa due settimane ogni giorno vengono imposte nuove restrizioni. Da più di una settimana le scuole pubbliche e private sono chiuse a tempo indeterminato e dal weekend scorso anche discoteche e i bar devono chiudere fino a nuovi aggiornamenti. Anche le manifestazioni legate alla rivoluzione non hanno più luogo. Alcuni paesi del golfo hanno bloccato i voli provenienti dal Libano e ci aspettiamo misure sempre più restrittive, tenendo anche in considerazione le capacità sanitarie del sistema libanese, che potrebbe entrare in una crisi ancora più grave di quella attuale nel caso queste misure non vengano prese”.

Federico Borre
Federico Borre

New York, Stati Uniti d’America

In una nazione molto concentrata sulle prossime elezioni presidenziali il Coronavirus non sembra ancora una priorità, come spiega Nathalie: “Qui la situazione è come se fosse in un momento di indecisione sulla gravità della cosa. Finora Trump ha sminuito i rischi, anche nel tentativo di preservare l’economia, ma ora i casi stanno continuando a salire quindi nei prossimi giorni probabilmente vedremo misure più restrittive. Ora hanno cancellato alcuni eventi, ma si va ancora in ufficio e ci si aggira con i mezzi pubblici normalmente. Credo però che potrebbe cambiare tutto in fretta se succede come in Italia. Al momento sono stati cancellati eventi che prevedevano raggruppamenti di migliaia di persone e alcune aree di particolare densità di casi sono state bloccate, per esempio il quartiere La Rochelle. In generale le raccomandazioni sono di lavarsi le mani e diminuire i voli, ma si va ancora in ufficio e si prendono ancora mezzi pubblici anche se ho la sensazione che potrebbe cambiare a momenti. Ora ci sono 170 casi a NY e credo che siano solo destinati a aumentare. Siamo probabilmente solo una decina di giorni indietro rispetto all’Italia in termini di diffusione. Mi aspetto che sempre più persone inizieranno a lavorare da casa. Vedremo come evolverà e quale sara davvero l’entità di tutto”. Le comunità italiane, molto presenti a New York, hanno sicuramente bisogno di sapere com’è la situazione nella nostra nazione, ma in generale gli USA guardano all’Italia se pensano all’Europa: “La percezione dell’Italia è di stupore per la gravità della cosa e la severità delle misure, ma anche ammirazione per il coraggio di fare quello che è necessario per rallentare la diffusione del virus, a tutti i costi. È bello vedere che questo virus ci allontana fisicamente ma ci avvicina umanamente in qualche modo”.

Dopo alcune informazioni trapelate da fonti più o meno certe, in un determinato momento si è parlato di un minore numero di casi in USA dovuti solo al prezzo del tampone, non garantito negli Stati Uniti: “Il test è coperto da assicurazione, ma è molto caro per tutti coloro che non sono assicurati. Questo fa sì che non tutti si facciamo testare anche se in alcuni Stati stanno varando misure per renderlo gratuito. Questo si somma al fatto che la capacità di fare i test, compreso il numero di kits disponibili, non soddisfa la domanda in molti stati. I limitati fondi investiti nella sanità fanno sì che non tutti i laboratori siano attrezzati. Non è chiaro quanti test siano stati fatti e di sicuro sono molti meno di quelli in Europa o Asia”.

Nathalie Rollandin
Nathalie Rollandin

Dalla Cina in Germania

Chi è rientrata in Europa dalla Cina da un mese è Giada Costenaro, artista di Lord of The Dance, al momento in tournée in Germania: “Qui in Germania la situazione è abbastanza tranquilla: ci spostiamo quasi tutti giorni e sembrerebbe tutto normale. Lavorando nel settore dell’intrattenimento, però, sicuramente c’è un pochino di tensione da parte dei promoter nel caso dovessero annullare la tournée. Alcune zone, che io sappia per esempio la regione della Renania Settentrionale-Vestfalia e Bavaria, hanno cominciato ad annullare per limitare gli eventi e gli show. Ero in Cina in tournée a fine gennaio e lì abbiamo dovuto cancellare tutti gli show di Pechino e volare anticipatamente a Taiwan, seconda tappa del world tour di Lord of the Dance, per non rimanere bloccati. Ci siamo sottoposti a controlli della temperatura in aeroporto sia a Taiwan sia in Canada e Messico”.

Per quanto la situazione a livello globale sia ormai a uno stato di pandemia conclamata, come dichiarato dall’OMS, sembra che questo sia un momento storico che forse dovrebbe farci riflettere su tante cose, come ammette Nathalie Rollandin, lontana dai suoi cari, ma vicina grazie alle tecnologie e ai pensieri: “In qualche modo la Terra sta cercando di bilanciare nuovamente qualcosa, ricordarci la fragilità della vita, l’inutilità delle discriminazioni e l’importanza di un senso di appartenenza e una responsabilità condivisa. Speriamo che ci serva come lezione di umanità e rispetto per gli equilibri del pianeta”.

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