Dall’Afghanistan alla Valle d’Aosta, una fuga trasformatasi in opportunità

Impiegato da oltre 20 anni all’interno dell’ambasciata italiana di Kabul, Mohammad e la sua famiglia sono stati costretti alla fuga durante l'estate del 2021 dopo il ritorno al potere dei talebani e della conseguente caduta del governo locale.
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Con il cuore in Italia e un pensiero sempre rivolto al suo Afghanistan, Mohammad (il nome è di fantasia) si impegna ogni giorno fianco a fianco della sua famiglia per integrarsi in Valle d’Aosta dopo le numerose e spiacevoli peripezie vissute nel suo paese di origine. Impiegato da oltre 20 anni all’interno dell’ambasciata italiana di Kabul, l’uomo è stato costretto alla fuga durante l’estate passata dopo il ritorno al potere dei talebani e della conseguente caduta del governo locale.

“Evacuate in tutta fretta”

Dopo la riapertura dell’ambasciata italiana di Kabul nel 2001, Mohammad  ha inizialmente lavorato come autista e a seguito è stato assunto all’interno dello staff dove egli ha prestato servizio per circa 20 anni sino al 15 agosto del 2021.

“Il giorno seguente alla caduta della capitale per mano dei talebani, come da programma stabilito dal Ministero degli affari esteri le oltre 40 persone tra residenti e impiegati sono state evacuate in tutta fretta e in simultanea rispetto alle altre ambasciate del luogo – racconta l’uomo -. Raggiunto l’aeroporto militare della città, siamo stati imbarcati a bordo di aerei civili diretti tramite missione di ponte umanitario verso la Penisola”.

“Primi giorni difficili”

Durante le operazioni di fuga, Mohammad e i suoi cari sono stati costretti a rinunciare a vestiti e oggetti che essi avevano diligentemente preparato all’interno di apposite valigie che tuttavia i militari hanno imposto loro di lasciare in aeroporto.

“Ovviamente la precedenza degli spazi è andata al personale piuttosto che ai bagagli, che, invece di esserci spediti il giorno seguente come promesso, sono stati rubati e distrutti esattamente come la casa che ci siamo lasciati alle spalle, saccheggiata e deturpata da criminali rassicurati dalla nostra assenza – prosegue ancora l’uomo con un certo rammarico -.  Quelli dopo il nostro arrivo a Fiumicino e il nostro trasporto nella base militare di Rocca Raso stati alcuni primi giorni difficili non soltanto per via del periodo di quarantena anti Covid cui siamo stati sottoposti ma anche per la mancanza di abiti ed effetti personali nostri, a seguito gentilmente fornitici dalle associazioni nostre ospiti”.

“Un percorso di inserimento apposito e funzionante”

Dopo aver trascorso circa 6 mesi all’interno del Centro di accoglienza straordinaria di Rieti, Mohammad assieme alla moglie e ai figli ha potuto sottoscrivere gli opportuni documenti di residenza e assistenza sanitaria in questura prima di essere chiamato a scegliere una altra meta per il proprio trasferimento definitivo.

“Attualmente viviamo all’interno di una casa privata messaci a disposizione del Sistema di accoglienza e integrazione della regione, un percorso di inserimento apposito e funzionante nel quale siamo guidati da competenti addetti che non soltanto ci aiutano in termini burocratici ma che ci accompagnano quotidianamente sul territorio mostrandoci come poter vivere in città – spiega ancora l’uomo -. Mentre io mi trovo impegnato tra un corso di formazione per pilota di muletti e la scuola guida per il conseguimento della patente, due dei miei figli sono stati coinvolti in un utile tirocinio e mia moglie è tuttora alla ricerca di un posto di lavoro”.

“Soddisfazione e riconoscimento”

Mentre Mohammad può dirsi certo che il fratello – unico suo parente ancora in vita – sia al sicuro lontano dall’Afghanistan, sua moglie ha dovuto lasciare in patria genitori e fratelli, costretti a una vita difficile fatta di mancanza di denaro o impiego o possibilità per le giovani di studiare e frequentare la scuola dopo la primaria.

“Pensare che i miei connazionali mancano di opportunità o fondi per riuscire a scappare mi rattrista molto se penso al modo gentile e disponibile con il quale sono stato trattato in Italia, per il quale non posso che esprimere soddisfazione e riconoscimento – commenta l’uomo -. Vorrei davvero ringraziare questo Paese, che dopo 20 anni al suo servizio mi ha riservato la migliore forma di accoglienza in cui potessi sperare e che, attraverso il Sai, prosegue nello svolgere una attività ottima e onesta di ospitalità e sostegno continui”.

“Una isola felice e tranquilla”

Da sempre affascinato dalla nostra Penisola, una volta costretto a partire per via della condizione di pericolo di vita cui egli era soggetto in Afghanistan, Mohammad si è alfine trasferito come molti dei suoi concittadini, le cui storie si differenziano per zona di provenienza o passato lavorativo.

“Ovviamente mi manca la mia nazione, da anni flagellata da guerre e incertezza scaturite da una serie senza fine di cambiamenti governativi e rivoluzioni militari  – conclude l’uomo -. Con l’arrivo dei talebani però le cose sono cambiate e la paura si è affacciata per la prima volta alle nostre vite, ciò che mi ha spinto a ricercare il benessere altrove in una isola felice e tranquilla come l’Italia che possa accogliere e regalare la serenità a me e ai miei figli”.

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