Fase2, le tate familiari valdostane: “Fateci riaprire. Il nostro servizio può essere un progetto pilota”

A chiederlo sono anche le 70 famiglie utenti del servizio, che hanno già ripreso o riprenderanno a breve a lavorare. Le tate familiari valdostane hanno presentato ieri in V Commissione e sottoposto al vaglio dell'Assessorato una bozza di protocollo di sicurezza.
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Società

Fateci riaprire i nostri servizi”. E’ quanto chiedono alla Regione le 16 tate familiari che operano in Valle d’Aosta, ma è anche quanto chiedono le 70 famiglie utenti del servizio. Una rappresentanza delle tate familiari valdostane ieri è stata audita in V Commissione.

“Dopo tre mesi di inattività, con le tasse da pagare e solo qualche piccolo aiuto ricevuto da parte dello Stato, ci siamo fatte avanti noi – spiega Dominga D’Agostino,  una delle rappresentanti delle tate valdostane – perché come libere professioniste ad oggi non abbiamo avuto risposte dall’Assessorato e anche a livello statale non ci sono indicazioni sulla ripartenza”. In assenza di linee guida, le tate familiari, prendendo spunto dall’allegato 8 contenuto nell’ultimo Dpcm, hanno elaborato una bozza di protocollo di sicurezza, presentato ieri in V Commissione e sottoposto al vaglio degli uffici regionali.

“Rispetto ad altri servizi alla prima infanzia, la nostra è una condizione privilegiata – sottolinea Dominga D’Agostino – perché abbiamo un rapporto di uno a quattro, ovvero una tata ogni quattro bambini. Da noi sono già piccoli gruppi”.
La metà delle 16 tate familiari che operano oggi in Valle d’Aosta lavorano da sole, in casa propria o in strutture prese in affitto o concesse dai comuni. Le altre lavorano invece in coppia “ma tutte in strutture con ampi spazi, senza contare che la programmazione dell’attività che abbiamo immaginato ci porterà, vista la bella stagione, a stare praticamente tutto il giorno all’aria aperta”.

Per adattare il servizio all’emergenza coronavirus, le tate hanno immaginato un triage per il bambino al momento dell’accoglienza, da svolgere probabilmente all’esterno della struttura: misurazione della temperatura corporea del bambino, utilizzo di gel disinfettante e compilazione da parte del genitore di un’autocertificazione che attesti lo stato di buona salute.

“Per i Dpi abbiamo pensato che la mascherina sia molto impattante sui bambini. Già facciamo fatica noi a vedere un sorriso dietro una mascherina, figuriamoci un bambino. Per questo abbiamo dato preferenza alle visiere e solo in alcuni casi, come quello del cambio, si può pensare di utilizzare la mascherina”.
Le tate sono pronte, poi, a mettere in campo ulteriori accortezze per quanto riguarda l’igiene e la sanificazione. “Alcune sono già delle prassi per noi, come l’utilizzo dei guanti al momento del cambio.”

In questi 3 mesi circa di chiusura le tate hanno continuato a tenersi in contatto con i loro piccoli utenti, proponendo loro attività con videochiamate settimanali divise per fasce d’età. A spingere ora per la riapertura del servizio sono le famiglie. “Alcune hanno già ripreso a lavorare, altre lo faranno a breve. C’è per loro l’esigenza di organizzarsi con i loro piccoli e vogliono poter contare su delle figure preparate e competenti, figure che i loro figli già conoscono e con cui hanno sviluppato un legame”. Il bonus babysitter non è una alternativa per queste famiglie. “Tutte ci hanno manifestata la preoccupazione a mettersi in casa delle persone estranee, non tutte possono poi contare sui nonni, che comunque sono i più esposti al virus”.

Il rischio zero non esiste e come ricorda lo stesso Dpcm la possibilità di contagio va “governato e ridotto al minimo” seguendo le misure di sicurezza e tutela della salute. “La ripartenza del nostro servizio può essere un progetto pilota, sperimentale. Inoltre in vista di una possibile recrudescenza autunnale del virus possiamo sfruttare questo periodo per fare prevenzione e educazione”.


		

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