Gli estimatori del patois non hanno di che lamentarsi. Negli ultimi giorni Aosta ha ospitato moltissimi eventi legati alla “langue du cœur” di una buona fetta di valdostani. Ai i tre giorni dedicati al secondo Festival dei popoli minoritari, con catalani, ladini e bretoni, sono succeduti i due giorni della Festa internazionale del patois, avvenuti in concomitanza, per di più, con la Festa della Valle d’Aosta.
Sabato e domenica si sono susseguiti una serie di appuntamenti di vario genere. Il patois, come tutte le lingue, è l’espressione di un intero mondo, che è stato celebrato in ogni suo aspetto, culturale, storico, gastronomico, musicale e religioso, assieme agli abitanti del Vallese, della Savoia e del Piemonte. La manifestazione si è aperta con una tavola rotonda, alla quale hanno partecipato docenti di fama, antropologi, linguisti, etnologi e dialettologi. In generale, i relatori hanno esaminato il complesso rapporto esistente tra popolo, lingua, identità e territorio.
Christine Dunoyer, presidente del Centro studi francoprovenzali René Willien di Saint Nicolas, ha presentato una ricerca sui nuovi “patoisant”, coloro che non parlano il patois dalla culla, ma lo hanno appreso appositamente, da adulti. “Alla base di questa scelta ci sono motivazioni professionali e familiari, ma è evidente anche il desiderio di integrazione” ha spiegato la relatrice. La giornata è proseguita con l’inaugurazione della mostra “Les Lieux du Patois” e poi al Montfleury, tra gli stand dedicati ai prodotti tipici valdostani. Dopo la cena sociale, il pubblico ha assistito allo spettacolo dedicato alla figura di Jean-Baptiste Cerlogne, di cui ricorre il centenario dalla morte, per poi ballare sulle note di “Erik é le poudzo valdotèn”. Domenica mattina, inoltre, si è svolta la messa in patois, un evento unico nel suo genere, seguita da canti, balli e animazioni protratti fino a sera.