“Vademecum per una comunicazione senza sessismo e stereotipi di genere”: questo il titolo del libro presentato ieri sera nella sala conferenze del CSV. “Forse è esagerato: sconfiggere la violenza contro le donne è un’aspirazione difficile da realizzare, ma noi vogliamo ribadire che l’unico modo per renderla possibile è partire a livello culturale, cioè da come raccontiamo questo tipo di violenza”. Così Viviana Rosi ha delineato l’interesse alla base del progetto “Narrazioni differenti” intrapreso dall’associazione DORA – Donne in Valle D’Aosta, nata nel 2011 per promuovere la cultura di genere e le pari opportunità nella nostra regione attraverso diverse iniziative. Il progetto ha visto la collaborazione di diversi giornalisti e fotografi, con la sfida di affrontare le criticità che purtroppo rendono l’Italia un Paese ancora maschilista.
Come rivela Viviana, infatti, è difficile trovare donne nei ruoli apicali delle grandi testate giornalistiche, come è critica la resistenza di molte persone nel declinare al femminile le professioni. “Molti ritengono che sia irrilevante dire ‘sindaca’ o ‘assessora’, ma in realtà il lungo percorso che potrà forse portarci a relazioni paritarie e diverse non può che cominciare da queste piccole cose, da come ci esprimiamo e da come raccontiamo la violenza contro le donne”.
Diversi ambiti sono stati analizzati seguendo questo fil rouge, a cominciare dalla cronaca nera legata ai femminicidi, a cui si è dedicata Francesca Schiavon. Numerosi i cliché rilevati in questo tipo di narrazione, che scarnifica la relazione tra la vittima e il carnefice, riducendoli a meri “protagonisti di una rappresentazione teatrale”. Interessante anche l’analisi del punto di vista da cui di solito sono raccontate le storie, poiché anche qui la narrazione gestita dalla parte maschile è dominante.
Alla base della violenza contro le donne, come specifica Rosi in qualità di mediatrice, vi è una sostanziale disparità di potere, per cui l’immaginario comune spesso è costruito da una prospettiva maschile. Tania Castellan ha voluto approfondire questo aspetto nell’ambito dell’offerta audiovisiva, facendo riferimenti a diversi programmi televisivi che dovrebbero combattere la violenza sulle donne, ma che sono invece confezionati in modo piuttosto contraddittorio. “Si tira spesso in ballo il raptus, la gelosia dell’aggressore in rapporti di coppia con tensioni: di fatto, si minimizza la violenza rendendola fisiologica senza cercare una soluzione, ma considerandola un fenomeno connaturato alla nostra società”. Non mancano però iniziative positive, come quelle di numerose piattaforme che coltivano un vivaio di donne attive nel processo creativo, come attrici e scrittrici della loro stessa storia. Fra gli altri emittenti, Netflix, che conta oggi 2 milioni di abbonati, sta tracciando un percorso che dà speranza, proponendo contenuti culturali mai visti in Italia.
Anche Simona Iamele, coordinatrice della Casa protetta per donne vittime di violenza L’Arcolaio, è stata coinvolta nel progetto, con l’obiettivo di scardinare gli stereotipi su chi sono le donne vittime di violenza e sulla funzione del centro di accoglienza. Innanzitutto, non si tratta per forza di donne straniere e le vittime non devono essere colpevolizzate se non denunciano l’aggressore, poiché non esiste alcuna legge in merito. Inoltre, sono fuorvianti gli spot governativi che promettono casa e lavoro alle donne che si rivolgono a questi centri, la cui funzione è di avviare un percorso di ricostruzione affinché la donna possa recuperare da sé la propria autonomia.
Tra le professioni di stampo maschile è compreso il mondo del fumetto, come rivela Erika Centomo. I fumetti più celebri, infatti, hanno quasi sempre firme di uomini e i personaggi femminili sono di solito ridotti al ruolo di compagne dei protagonisti, con l’eccezione di Eva Kant delle sorelle Giussani e poche altre. L’ostilità dell’editoria e del pubblico nei confronti del fumetto “al femminile” sta però sfumando, come testimonia la carriera folgorante dell’illustratrice Barbara Baldi, che ha realizzato il poster del LuccaComics&Games 2019.
Non poteva mancare una parte dedicata all’aspetto visivo: ormai tutti i testi in rete sono accompagnati da immagini, ma in casi come quello della violenza sulle donne è difficile trovarne di adatte. Ecco che i media cadono di nuovo nello stereotipo, che oscilla dalla coppia felice con un sogno infranto, alla donna rannicchiata, col volto coperto o tumefatto. Tre fotografi hanno accettato la sfida di raccontare in modo diverso la violenza sulle donne, che è stata rappresentata seguendo diversi approcci da Francesca Alti, David Mannarino e Sophie-Anne Herin.
Non va sminuita comunque la pars construens che pian piano il mondo giornalistico sta mettendo in moto. A questo proposito si deve l’invito di Daniele Mammoliti, presidente dell’Associazione Stampa Valdostana, aderente alla FNSI, che dal 1998 ha nel proprio statuto una commissione per le pari opportunità. Mammoliti sottolinea come sia difficile affrontare questa problematica dall’interno, per di più in un mondo da sempre maschilista come quello del giornalismo. Si notano in ogni caso alcuni segni positivi, tra cui l’iniziativa di condurre un’indagine sulle molestie nelle redazioni italiane, che ha rivelato dati molto meno ottimisti: circa l’85% delle intervistate dichiara di aver subito violenza in ambito lavorativo.
A concludere, Giacinta Prisant del direttivo dell’associazione DORA si mostra soddisfatta per questo progetto “non solo interessante, ma seminatore di movimento, che invita tutti a guardare con occhio critico anche ciò su cui di solito non ci si sofferma. Ci sono nuove leggi per difendere le donne, ma restano vuote se le persone non cambiano modo di pensare e si lasciano caricare di stereotipi”.
Il progetto non finisce qui e in programma l’associazione DORA propone ancora altri incontri, tra cui si auspica anche l’intervento della femminista e scrittrice Lidia Cirillo, ospite dell’evento a fine novembre rimandato a causa dei suoi problemi di salute.