Una mamma e un papà, Manuela e Oscar, due figli, Greta e Simone. Una famiglia come tante con progetti da realizzare, difficoltà di conciliazione, sogni, paure, emozioni vissute. Una famiglia che, ad un certo punto, viene messa duramente alla prova dalla vita: il figlio più piccolo, Simone, nato nel 2009, inizia a manifestare delle difficoltà a livello motorio.
Simone all’età di 3 anni cade spesso giocando, si isola, non riesce a completare i movimenti che fanno i suoi coetanei. “I primi segnali si manifestano alla scuola materna, fino all’asilo nido era in linea con tutti gli altri bimbi, anzi per certi versi era pure emancipato” ci racconta mamma Manuela. Da lì partono le visite, i consulti, gli esami e iniziano i primi sospetti.
Il 23 giugno 2014 è la data della diagnosi, una di quelle che lasciano senza parole: distrofia muscolare di Duchenne, malattia rara che causa una progressiva degenerazione dei muscoli. “Non sapevamo nulla di questa patologia, non avevamo voluto cercare su Internet, mi ricordo ancora di aver chiesto ai medici se Simone un domani avrebbe potuto mai avere figli”. Manuela lo dice con il sorriso, un po’ amaro, di chi da quel giorno ha fatto tanta strada sul piano della conoscenza, nella consapevolezza, della disperazione e ancora dell’accettazione e della speranza.
Manuela e Oscar scelgono da subito di rivolgersi a Parent Project onlus, un’associazione costituita dai genitori di bambini affetti da Distrofia Muscolare Duchenne e Becker con due grandi obiettivi: finanziare la ricerca scientifica per combattere la distrofia e informare e sostenere i genitori dei bambini che ne sono affetti. “Me ne parlò per la prima volta la mamma di un bambino con la distrofia. Mi disse la mia speranza è il Registro pazienti che c’è sul sito di Parent Project”. Il registro italiano DMD/BMD raccoglie dati e distribuisce informazioni necessarie ad accelerare la definizione di nuovi approcci clinici e terapeutici.
Chiamano la sede centrale di Roma e vengono da subito accompagnati e guidati nei confronti della scuola, ma anche su cosa dire e come a Simone e a Greta. “Da Parent Project ci sentiamo protetti e tutelati, per i consigli, il sostegno che ci danno e soprattutto perché sono collegati mondialmente e in linea con i centri medici che lavorano nella ricerca” ci spiega Oscar. “Del resto questa è un’associazione di genitori, di persone coinvolte che non cercano di strumentalizzarti a livello politico, ma che hanno l’obiettivo dichiarato di raccogliere fondi per finanziare la ricerca che sta cercando una cura”.
Dal giorno della diagnosi la quotidianità della famiglia di Simone indubbiamente cambia: bisogna fare spazio tutti i giorni alla fisioterapia, prestare attenzione alle barriere architettoniche, all’alimentazione, incastrare tutte le attività, riabilitative e non, facendo sì che non si appesantiscano troppo le giornate.
L’equilibrio è precario, ma Manuela, Oscar, Simone e Greta riescono a trovare il tempo anche per l’impegno che va oltre la loro storia e la loro condizione. Si mobilitano per sensibilizzare sulla necessità di sostenere la ricerca promuovendo, sempre con l’assenso di Parent Project, raccolte fondi sul territorio, portando in Valle le campagne nazionali sui panettoni e le uova di pasqua della onlus e organizzando eventi come la Petite Promenade des ballons di Arvier. “Parent Project sostiene le famiglie nel loro attivismo sul territorio, perché siamo noi che sappiamo come muoverci e cosa proporre, e nello stesso tempo ti supporta in tutto quello che fai” ci dice ancora Manuela.
Da loro insieme a un gruppo di amici nasce l’idea del libro, poi diventato anche spettacolo teatrale, del “Il Volo di Pon Pon, il pinguino che trovò il suo modo di volare”. Il libro piace ed è ora anche uno strumento usato da Parent Project a livello nazionale nei CAD, i Centri di Ascolto Duchenne per i progetti con le scuole e con le famiglie che ricevono per la prima volta la diagnosi. “Siamo alla seconda ristampa, abbiamo raccolto più soldi di quel che pensavamo, ma soprattutto questo progetto ci ha dato un sacco di spunti interessanti di collaborazione con altre associazioni”.
C’è una parola che Manuela e Oscar non pronunciano mai, ma che traspare, a chi li ascolta, per tutta la durata della nostra chiacchierata. E’ la parola dignità. La dignità di una famiglia profondamente ferita, ma che non ha rinunciato a portare avanti una battaglia che da personale è diventata collettiva. Manuela e Oscar hanno bisogno del sostegno degli altri, hanno bisogno che la comunità stia dalla loro parte, ma di quel sostegno e di quella attenzione non vogliono abusare. Manuela e Oscar sono tra quelle famiglie che prima fanno e solo dopo chiedono. Un motivo in più, per me, per dar loro una mano.
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