La rete Sai di Aosta accoglie 12 persone tra afgani e ucraini

Dopo l'ingresso nella rete del Sistema accoglienza e integrazione - il capofila in Valle è Saint-Vincent - il Comune di Aosta vede oggi tutti i dodici posti massimi attivabili occupati da famiglie afgane e ucraine.
Da sx: Olimpia Negro, Arnela Pepelar e Akhtari Mahboobullah - Rete Sai
Società

L’iniziativa – l’adesione del Comune di Aosta alla rete Sai, il Sistema accoglienza e integrazione – era nata per aiutare i profughi di una crisi, quella afgana nata dopo la presa di potere da parte dei talebani, incrociatasi poi con la guerra in Ucraina.

Oggi, tutti i dodici posti massimi attivabili per il capoluogo regionale – entrato nella rete per il tramite del Comune capofila, quello di Saint-Vincent – sono occupati, e le famiglie sistemate. Tra ieri e ieri l’altro hanno trovato posto tre nuclei ucraini, per un totale di sette persone.

Rispetto ai Cas – i Centri di accoglienza straordinaria – la rete Sai, lo dice il suo nome stesso, punta sull’integrazione, come spiega Arnela Pepelar del Consorzio Trait d’union: “Il modello è quello dell’accoglienza integrata sul territorio con precise caratteristiche. Lo scopo principale è quello di lavorare su percorsi individuali di inserimento socio-lavorativo e abitativo ma anche sull’accompagnamento legale, lavorativo, sociale, progetti di conoscenza della comunità e del territorio, l’inserimento formativo e le formazioni professionali. Ci è voluto un po’ per formalizzare l’ampliamento ed il 24 aprile abbiamo accolto la prima famiglia afgana”.

Dal 2017, anno in cui la rete venne aperta dal capofila Saint-Vincent assieme a Champorcher e Saint-Rhémy-en-Bosses, le persone che hanno preso parte a questo percorso sono state in tutto 95. Tutte persone accolte dai sei ai dodici mesi e – per chi già in età lavorativa – con l’attivazione di tirocini o possibilità di impiego, in genere stagionale.

Tra questi, direttamente dell’Afghanistan, c’è Mahboobullah Akhtari che dal 2001 lavorava all’Ambasciata italiana fino alla caduta di Kabul. lui, arrivato ad Aosta con la moglie, una figlia minorenne che fa le medie, una maggiorenne che sta finendo le superiori e un figlio universitario, spiega: “Siamo partiti il 15 agosto e arrivati qua il 16 a Roma. Dopo la quarantena a Roccaraso siamo stati a Rieti per l’accoglienza Cas e arrivati in Valle. Ringrazio l’Italia che ci ha accolto e l’Amministrazione e gli operatori Sai che ci hanno aiutato per la scuola, per il lavoro e capire bene questa integrazione con la popolazione. Siamo contenti di questo alloggio e di questa accoglienza, i valdostani ci hanno accolto con molta gentilezza”.

Per loro, si aprirà poi il percorso vero e proprio anche fuori dalla rete, come spiega ancora Pepelar: “La permanenza nel Sai viene prorogata solo se ci sono dei progetti in corso che giustificano una presenza maggiore. Una persona dovrebbe uscire quando il progetto di integrazione è compiuto. In questo, abbiamo trovato il sostegno di diverse realtà associative e di servizi. Abbiamo trovato soluzioni per dare a tutti queste possibilità, ma ci sono anche molte difficoltà”.

E non tutti restano in Valle: “Tramite gli operatori, tendenzialmente, abbiamo tenuto i contatti anche dopo l’uscita dal progetto – prosegue -. Negli ultimi anni alcune persone sul territorio hanno lasciato la regione. Anche perché c’è un problema di rinnovo documenti, quindi è necessario il rientro. Però, abbiamo sempre ritenuto importante parlare anche della cultura dell’accoglienza. E questa apertura verso i popoli ucraini è un modo di guardare ad un nuovo modo di accogliere”.

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