È, a detta di molti, la grande incognita della pandemia: il continente africano con i suoi tempi di reazione al Covid-19. Secondo gli ultimi dati rilasciati dall’OMS (aggiornati al 24 marzo ndr), anche nel propagarsi della pandemia, l’Africa presenta situazioni diverse e diversi livelli di emergenza. Si va dagli stati con più di 200 casi come Sudafrica, Algeria ed Egitto, a quelli con zero casi come la Libia, il Mali o il Sudan. E in mezzo ci sono tante sfumature di colore su una cartina che cambia di giorno in giorno, stati come il Niger, in cui opera Marzia Vigliaroni, cooperante valdostana da ormai 14 anni in Africa, che presenterebbe tra i 20 e i 100 casi.
La cooperante valdostana ha iniziato la sua esperienza africana nel 2006 in Madagascar per COOPI e ormai da 7 anni lavora in Niger, gli ultimi 2 per UNHCR (l’ Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ndr). La situazione che descrive è quella di un continente immenso e vasto, in cui non tutti gli stati si trovano nelle stesse condizioni di emergenza, ma che sembra paradossalmente avere meno mezzi, ma più predisposizione dei paesi occidentali nei confronti di una pandemia.
“Sono in Niger da 7 anni – racconta Marzia che nel paese africano si è anche fatta una famiglia – ho trascorso questi anni soprattutto in RCA (Repubblica Centrafricana), Madagascar e Niger e per questo motivo riesco a definire il quadro della zona occidentale dell’Africa, ma so che la questione cambia molto se parliamo del Corno d’Africa o del Maghreb. Da ormai un mese si parla di covid-19 tutti i giorni e si preparano piani di contingenza e di risposta; va anche detto che i paesi africani sono molto più abituati alle epidemie e ai conflitti e secondo me questo fa sì che ci siano un assetto e un’abitudine comportamentale che si innesca con più facilità sulla reazione alla situazione, rispetto all’Europa o alla Cina”.
Un continente martoriato da conflitti interni e esterni, continuamente utilizzato come scacchiera internazionale dalle potenze per far valere il proprio peso politico e militare, e che, da pochi giorni è riuscito finalmente a sconfiggere l’Ebola, in tempo per fronteggiare un altro nemico che Marzia non sminuisce e che cataloga come “insidioso e subdolo, più di un conflitto a cui queste persone sono purtroppo confrontate troppo spesso”.
I piani di preparazione di cui parla Marzia sono accompagnati e sostenuti dalle Nazioni Unite, dalle varie ong che operano sui territori interessati e da dei donatori privati e sono preparati in un’ottica di prevenzione all’emergenza: “Cerchiamo insieme di lavorare affinché possano essere resi disponibili a tutti acqua, gel idroralcolico, sapone e dispositivi vari per il lavaggio delle mani. Questo è molto importante perché la gente possa contribuire al rispetto e all’aumento delle norme igieniche. Qui il vero problema è la distanziazione sociale”.
In un paese come il Niger in cui le moschee, le scuole e i luoghi di grande aggregazione sono stati chiusi una settimana fa il vero problema rimane l’imposizione e il rispetto delle regole di distanza sociale da mantenere per evitare che il contagio avanzi in maniera decisamente rapida: “Il Niger è il paese più povero al mondo, qui i posti letto in rianimazione sono 12 e fino a 2 giorni fa i test disponibili, normali e non veloci, per individuare i casi positivi erano solo 1200, ora aspettiamo l’arrivo di 20.000 tamponi dalla Cina e di altri 20.000 da altri donatori, ma rimane il grande problema della promiscuità. Ci sono persone che non hanno una casa e altre che vivono in tanti sotto lo stesso tetto e rispettare le regole di distanza sociale così è molto complicato, ecco perché la prevenzione e il coprifuoco indetto ieri e che vale dalle 19 alle 7 del mattino diventano fondamentali”.
Un altro grave problema è la difficoltà nella comprensione della malattia e delle problematiche sociali e culturali che vanno a infiammare una situazione già di per sé difficile, come racconta Marzia: “Ci sono situazioni in Niger in cui le problematiche sociali anche più sottese esplodono, per esempio i marabout (leader musulmani), alla chiusura delle moschee si sono ribellati, esclamando che questa malattia è solo una punizione divina contro la Cina e l’Europa e che anzi ci fosse bisogno di pregare molto di più; oppure circolano tra la popolazione sms in cui si dice che è una malattia portata dagli italiani e che questi saranno gli unici a essere puniti poiché il virus non attacca i corpi forti dei neri. Credo che a tutto questo noi europei, cooperanti o meno, dobbiamo rispondere con un profilo basso, ma è da tenere comunque d’occhio. Bisogna sostenere la prevenzione e le campagne attuate per questo, è l’unico modo per arginare il contagio diffuso che sarebbe davvero tragico”.
In una situazione geopolitica e culturale già tesa, la paura principale di Marzia è stata fin dall’inizio quella di vedere i cadaveri per le strade e troppa gente contagiate, ma l’energia dei cooperanti e degli stati è volta “ad evitare il peggio e a contenere i contagi e il degenero della situazione. C’è molto lavoro da fare ora che siamo assolutamente in emergenza anche se possiamo contare anche molto su quanto la prevenzione possa fare. Il lavoro da fare è anche quello di abbattere lo stereotipo che in Africa non ci siano eccellenze o che sia tutto giungla e savana come credono molti occidentali: non è così. Credo che l’Africa potrebbe dare molto al mondo se solo quest’ultimo riuscisse ad abbattere il muro di stereotipi, ma questo può essere fatto solo attraverso lo scambio culturale, la libertà e la conoscenza”.