“Non è un problema politico, ma di umanità”, Chiara Cardellino sulla Sea Watch 5 fra impotenza e indifferenza

Chiara Cardellino, infettivologa 41enne di Aosta, è in missione a bordo della nave della ong tedesca, ora fermata amministrativamente. Ci ha raccontato le missioni per salvare 170 persone, il dolore per chi non ce la fa e la frustrazione per le decisioni delle autorità.
Chiara Cardellino, foto Maria Giulia Trombini
Società

L’avevamo lasciata in procinto di partire per Roccella Jonica, per offrire da terra assistenza sanitaria agli sbarchi delle persone con Medici Senza Frontiere, e ora ritroviamo Chiara Cardellino, l’infettivologa 41enne di Aosta, a bordo della Sea Watch 5. La nave della Ong tedesca è in fermo amministrativo al largo di Augusta, dopo aver salvato nei giorni scorsi in quattro diverse missioni 170 persone dal mare. Ne manca una all’appello, un ragazzo molto giovane, all’incirca di 17 anni, che nonostante gli sforzi fatti da tutto il personale della missione, il 6 marzo scorso è morto. Un ragazzo che forse proveniva dal Bangladesh, rimasto senza un nome, senza una famiglia da avvisare della sua perdita.

“La cosa che mi fa più rabbia è che era un ragazzo giovane che non aveva motivo di morire”. Il lavoro in ospedale ha preparato Chiara Cardellino alla morte, ma “quando c’è una malattia e un tentativo terapeutico è stato fatto, si conosce il paziente, la famiglia, si è preparati anche ad un esito infausto. Invece così è proprio una morte dovuta alla crudeltà delle persone, del mondo e della politica che li costringe a un viaggio così pericoloso a quell’età”. E’ stanca Chiara, lo ammette lei stessa, non tanto per le ore trascorse a scrutare il mare in cerca di persone da salvare, per i soccorsi prestati, ma per la frustrazione, l’impotenza e l’indifferenza che hanno accompagnato questa missione.

E’ stata lei stessa a scegliere di tornare in mare. “Un mese dopo che ero rientrata dalla prima missione non riuscivo a pensare ad altro che a quell’esperienza”. Viene scelta da Sea Watch perché oltre a conoscere l’inglese e il francese sa l’italiano e potrà essere utile per comunicare con le autorità. E’ il 14 febbraio quando Chiara Cardellino s’imbarca sulla Sea Watch 5 e dopo il periodo di briefing e training iniziano le missioni di soccorso. Nonostante il maltempo, le onde alte e il vento. nel buio della notte la nave riesce a prestare soccorso in due diverse occasioni a 45 persone e ad altre 70, che viaggiavano su imbarcazioni precarie, ma per fortuna non da tanto tempo. “Stavano tutti piuttosto bene, abbiamo avuto un paio di casi di ipotermia. Molti avevano la scabbia”. Tutti uomini, giovani, giovanissimi, partiti dalla Siria, dal Pakistan, dal Bangladesh.

Chiara Cardellino, foto Maria Giulia Trombini
Chiara Cardellino, foto Maria Giulia Trombini

La terza missione, a stretto giro dalla seconda, grazie alla possibilità concessa alla Sea Watch 5 di salpare al largo di Lampedusa, sarà diversa. “Quel giorno ero sul ponte di comando a guardare fuori, perché ero di vedetta. Mi ricordo che c’era molto movimento all’orizzonte, con diverse navi. Abbiamo visto anche la Guardia costiera libica per cui siamo anche entrati in contatto con loro”. Viene individuato un barchino, ma sembra vuoto, perché probabilmente i libici hanno già pensato a riportare indietro le persone. “La nostra intenzione era comunque di andare a vedere se ci fosse stato bisogno di qualcosa”. Sea Watch 5 s’indirizza verso il barchino e nel farlo ne intercetta un altro, di legno, con una cinquantina di persone a bordo. “Quello che mi ha colpito, guardando con il binocolo, è quanto fosse inclinata, il barchino era completamente sollevato”. A decine di metri di distanza si percepisce poi un forte odore di benzina provenire dall’imbarcazione di fortuna Anche la Guarda Costiera libica si avvicina, cosa che spaventa ancora di più i migranti, terrorizzati dall’idea di esser riportati da dove stanno cercando di fuggire. “C’è stato un momento di tensione, perché non sappiamo mai come reagiscono. Erano stati loro a segnalarci un caso, ma poi magari ti dicono di non soccorrere.”

Sono attimi, mentre la Guardia Costiera libica si allontana, sette persone cadono in acqua. Il momento si fa concitato. L’equipaggio della Sea Watch è addestrato a queste situazioni e le persone vengono tutte salvate dall’acqua e quelle rimaste a bordo trasferite sulla nave. Mentre iniziano le prime operazioni di soccorso, con la distribuzione di coperte e il primo triage, arriva la notizia che qualcuno è rimasto a bordo, nella sottocoperta dell’imbarcazione. Nonostante il pericolo di risalire su un’imbarcazione in procinto di affondare, il capomissione non si tira indietro. Le prime quattro persone, in stato di semi incoscienza, vengono recuperate con fatica, per il quinto le cose si fanno ancora più complicate. “Era incosciente, ma respirava ancora, anche se il polso era flebile e il respiro poco efficace”.

Sarà un collega di Chiara ad occuparsi per primo del ragazzo, mentre lei ed altri due medici sono impegnati a soccorrere gli altri quattro ragazzi intossicati dalla benzina.
“Avevano una saturazione di ossigeno bassissima. In nave abbiamo una riserva di ossigeno imponente, ma ne abbiamo usata 3/4 per queste quattro persone”.

Per quanto all’interno della nave sia allestito un ospedale, un’emergenza di questo tipo richiede altre risorse e macchinari. Per questo viene subito lanciata la richiesta di evacuazione medica per tutti e cinque. “Sono i casi  – ricorda Chiara – in cui viene mandato un elicottero da Malta o comunque una motovedetta dalla zona più vicina”. Una richiesta che rimarrà senza risposta per nove ore. Al 17enne ne serviranno tre per spirare l’ultimo respiro. Tre lunghissime ore in cui verrà tentato di tutto per salvare il ragazzo. “Ci siamo posti anche il dubbio se intubarlo, però una volta intubato bisogna poi avere un ventilatore e tutta una serie di macchinari per sostenerlo che ovviamente ci sono in una rianimazione di un ospedale”. Le decisioni che si trovano a prendere in quelle ore Chiara e gli altri medici presenti a bordo sono legate alle risposte o alle non risposte avute.

“Le possibilità che si salvasse erano poche, anche se avessimo avuto un’evacuazione, perché comunque richiede fisicamente del tempo. Non è come l’ambulanza che in 20 minuti arriva. E’ stato comunque molto frustrante, soprattutto per l’equipaggio non avere risposta. Puoi essere anche abituato ma ti lascia comunque tutti scioccati”.

In questa missione Chiara si troverà in altre occasioni di fronte alla disumanità di scelte, non scelte, silenzi o rimpalli di responsabilità A cominciare dal primo porto assegnato a Sea Watch 5 per sbarcare i 51 migranti salvati. “E’ stata la cosa più agghiacciante. Ci hanno dato come porto Ravenna e quindi avevamo ancora 1500 chilometri da percorrere, 4/5 giorni di navigazione. E’ stato disarmante”. La richiesta di evacuazione medica, come detto, riceverà una risposta nove ore dopo: i quattro ragazzi, stabilizzati, dopo le esalazioni di benzina, saranno presi in carico da una motovedetta al largo di Lampedusa, per essere qui trasferiti in ospedale.

E’ Chiara a dialogare in questa fase con la Guardia costiera italiana. “Ho chiesto che prendessero anche il corpo del ragazzo, perché nella nave non abbiamo una cella frigorifera. Ma mi hanno risposto di “no: non è una nostra decisione, ordini da Roma”. Non voglio accusare loro di non aver fatto qualcosa che non potevano fare, però è stato anche quello disarmante”. La nave si rimette quindi in moto verso la lontana Ravenna. Il maltempo non dà tregua e di notte fa freddo. “Nonostante le condizioni faticose sono tutti estremamente grati e sollevati di essere a bordo. Abbiamo come regola di cercare di essere con loro sempre ottimisti, positivi e accoglienti, per cui si sentono protetti. Fa comunque impressione sentirsi dire “sei la prima persona che mi sorride dopo tanto tempo”. In tanti si portano dietro le torture subite in Libia, come Chiara avrà modo anche questa volta di scorgere visitandoli. “E’ molto triste vedere uomini giovani che avrebbero la capacità di lavorare, essere produttivi, avere una famiglia, ma sono invece così traumatizzati da non riuscire a parlare. E’ stato molto toccante riuscire ad ascoltare alcune delle loro storie, storie di vita e coraggio, che secondo me ci potrebbero arricchire. Abbiamo parlato tanto di resilienza con il Covid, ma è ridicolo in confronto a quanto affrontano loro”.

Improvvisa arriverà la decisione, comunicata a distanza di sole due ore dallo sbarco, di concedere a Sea Watch 5 Pozzallo come porto di attracco. “Un altro stress per tutti. Sono tante le cose da gestire, le carte da preparare”. L’ultimo “regalo” a chi sta dedicando la propria vita per salvarne altre è il fermo amministrativo. “Come volontari avevamo un accordo per rimanere fino al 19 marzo e quindi avremmo avuto il tempo di fare una quarta rotazione e un quinto soccorso, eravamo pronti nonostante la stanchezza, nonostante quest’ultimo salvataggio ci avesse duramente colpiti”. Un fermo che si unisce a quello di altre due navi battenti bandiera tedesca, arrivato proprio nel momento in cui sono ripresi con nuova intensità le traversate nel Mediterraneo (Nda E’ di ieri la notizia dell’ultima strage con almeno 60 persone morte). “Siamo addolorati per quello che succede, è umanamente inaccettabile. Non è un problema politico, ma di diritti e di umanità”.

4 risposte

  1. L’Italia con il Governo Meloni ha toccato il fondo della disumanità come mai visto prima, dovremmo tutti vergognarci per non aver fatto sentire maggiormente la nostra voce di persone che ancora credono nei valori dell’accoglienza e dell’integrazione! E lei, signora Virna, dimostra un’aridità morale che non le fa onore.

  2. Forse dovrebbe bussare ad altri Paesi. L Italia ne ha abbastanza non crede? Basterebbe chiedere agli stessi Paesi che sponsorizzano le vs navi .

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