Atleta, medico, olimpionica. Di questi tempi – ma non solo – Catherine Bertone di cose da dire ne ha, eccome. La maratoneta valdostana è ormai diventata un esempio ed un punto di riferimento per il mondo dello sport: districandosi tra il lavoro come pediatra e gli allenamenti sulla ciclabile, è la detentrice del record mondiale Over 45 (2h28’34”) sui 42 km, oltre ad essere diventata un caso nazionale per la sua impossibilità a partecipare agli scorsi Mondiali di Doha. Le sue imprese e le sue parole, mai banali, vengono spesso riprese nella community italiana dei corridori.
Ora, con il rinvio delle Olimpiadi di Tokyo al 2021, le restrizioni all’attività fisica all’aperto imposte in primis dalla Regione Valle d’Aosta e la situazione di emergenza che stiamo vivendo, le sue riflessioni si dimostrano sempre più attuali ed autorevoli.
Il rinvio delle Olimpiadi, una scelta necessaria
Partendo dall’attualità più stretta, ieri è arrivata la conferma del rinvio al 2021 delle Olimpiadi di Tokyo. “Credo che non si potesse fare diversamente. Ci sono delle priorità, tutta quella pantomima precedente mi sembrava assurda”, esordisce Catherine Bertone. “Davanti a certe cose lo sport passa in secondo piano, era l’unica scelta che si potesse fare per mantenere lo spirito olimpico e le pari opportunità, che già normalmente sono scarse perché metà del mondo non può permettersi di fare sport. Le uniche volte che le Olimpiadi sono state rinviate era stato per delle guerre. Bill Gates lo aveva anticipato, forse la Terza Guerra Mondiale non sarebbe stata una guerra nucleare ma la lotta contro un virus”.
A livello personale, per lei il rinvio di un anno potrebbe pesare a livello anagrafico: “Può essere più difficoltoso per me cercare la qualifica, ma di fronte ad una situazione come questa i dispiaceri sono altri. Cerco di prenderla come un’opportunità”.
“Per mantenermi in forma mi alleno sul tapis roulant dei vicini”
Ovviamente, in questo momento per la campionessa valdostana la possibilità di fare i chilometri non c’è, ma anche questo è un problema relativo. “Ho spesso pensato, in tempi non sospetti, che sono fortunata a poter correre: ho la libertà di farlo perché sono in un Paese che me lo permette, ho la salute, ho il lavoro e la famiglia. Se uno ha il tempo e la possibilità di fare sport vuol dire che le cose vanno bene. Quando correvo mi ritrovavo spesso a pensare a chi, come chi vive sotto dittatura, non può permetterselo”.
Non bisogna però mai lasciarsi andare alla pigrizia, ma anzi è questo il momento di trasformare i punti di debolezza in punti di forza: “Noi corridori siamo dei pezzi di legno, quindi in questo momento ne approfittiamo per fare altri tipi di lavori”, dice sorridendo. Non le è ancora venuta la malsana idea di fare come alcuni corridori folli, che magari fanno una maratona attorno al tavolo della cucina o sul balcone: “Per fortuna ho un vicinato splendido, hanno messo in cortile un tapis roulant che possiamo usare a turno, dopo esserci scritti su WhatsApp e dopo averlo ovviamente ben disinfettato”.
“La rabbia contro i runners? Siamo tornati al Medioevo”
Fin dall’inizio di questa situazione, Catherine Bertone ha sottolineato l’importanza dell’attività fisica, soprattutto all’aperto, come sostenuto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Lo vedo anche con le mie figlie: se non faccio far loro attività, arriviamo alla sera che ci scanniamo”, dice scherzando. “Entrambe fanno fondo, cerco di far fare loro degli esercizi prima di fare i compiti, prima di pranzo e prima di cena, ma non sempre ci riesco. E’ fondamentale perché ti fa sfogare e ti dà benessere, ma mi rendo conto che non sempre è facile: bisogna tenere altissima la motivazione per non lasciarsi andare all’inerzia”.
Il discorso passa poi alla “caccia alle streghe” dei giorni scorsi contro i runners: “La decisione di vietare la corsa mi lascia molto perplessa, ma queste sono le regole e mi adeguo. Certo, vorrei capire come una corsa in solitaria possa creare dei problemi. Non parlo delle corse di gruppo che facevamo la domenica mattina, quelle ovviamente ora non vanno bene, ma se io faccio 40 minuti di corsa in panoramica da sola ed incrocio qualcuno a 20 metri di distanza senza fermarmi a parlare, come faccio a trasmettere il virus? Qualche virologo che ha studiato su Google me lo deve spiegare. E’ un nonsenso ma mi adeguo, ripeto, le regole vanno assolutamente rispettate. Però perché i cani sì e i bambini no, come dice mia mamma? Non c’è nessuna differenza. Ho anche pensato di mettere il guinzaglio a mia figlia”. Il senso dell’umorismo non le manca. “La rabbia nei confronti dei corridori è l’ennesima dimostrazione che l’essere umano ha tante lacune, siamo tornati ad un’età medievale”.
“Vorrei rendermi utile come medico in questa situazione di emergenza”
Bertone, dal punto di vista medico, è infettivologa ma ormai da molti anni lavora come pediatra. Un lavoro che, come spiega lei stessa, al momento ha subito una frenata, perché i bambini in età pediatrica sono perlopiù asintomatici o paucisintomatici, senza considerare che, restando in casa, hanno possibilità scarse o nulle di ammalarsi di altri morbi come scarlattina o varicella. “Mi sento quasi in colpa ed impotente nei confronti degli altri medici”, dice con rammarico. “Noi abbiamo dato delle disponibilità, non so se saremmo utili o se rischieremmo di essere un peso perché non adeguatamente formati, sono comunque due specializzazioni diverse. Però ci chiediamo spesso in quale modo potremmo aiutare. Anche se i problemi principali sono legati alla mancanza di farmaci, macchinari o posti letto, noi come forza lavoro vorremmo metterci a disposizione per fronteggiare quest’emergenza”.
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Forse poteva pensarci prima invece di lasciare scoperto un posto in pediatria perché aveva più soddisfazioni dallo sport???