Gender Gap: anche in Valle d’Aosta i conti non tornano

Tutti e nove i rappresentanti regionali nel comitato scientifico della Fondazione Courmayeur Mont Blanc sono uomini. Nessun sembra notare la scarsissima presenza anche in Valle d'Aosta di donne al vertice. Si occupa di gender gap, il divario tra i generi che penalizza le donne negli accessi alla carriera, la rubrica "Le parole per dirlo".
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Le parole per dirlo

È notizia recente la nomina dei rappresentanti della Regione in seno al comitato scientifico della Fondazione Courmayeur Mont Blanc – Centro internazionale su diritto, società e economia e non pare avere destato nessun tipo di reazione il fatto che i nominati siano tutti e nove uomini. D’altra parte va anche detto che in anni di attività della Fondazione nessuno sembra avere notato che le presenze femminili sono sempre scarsissime, che si tratti convegni, di incontri con singole personalità o di iniziative a più voci.

Perché stupirsi? A fine aprile, in un’intervista rilasciata al Corriere della sera a proposito delle task force messe in campo contro la pandemia, la senatrice Emma Bonino dichiarava che “In Italia la parità di genere esiste solo il sabato e alla domenica nei convegni. Poi dal lunedì chi ha il potere reinserisce il pilota automatico e sceglie gli uomini che conosce, di cui è amico, che gli girano intorno” e a quanto sembra si dimostrava troppo ottimista anche sui convegni. Ha avuto del resto larga eco la decisione del Ministro per il Sud Giuseppe Provenzano di non partecipare a un convegno sulla ripresa a cui erano stati invitati in qualità di relatori solo maschi. “È una rimozione di genere”, ha scritto in un Tweet Provenzano, la stessa rimozione che si verifica ogni volta che passa inosservata l’assenza femminile o la presenza del tutto minoritaria di donne in consessi prestigiosi, in organi di indirizzo o a carattere decisionale.

È questo un altro aspetto del gender gap, del divario tra i generi che penalizza le donne negli accessi alla carriera, ne ostacola la nomina nei ruoli apicali e determina sperequazioni salariali a qualunque livello professionale, con buona pace di chi ancora crede che cooptazioni e nomine vengano fatte in base al merito e siano esenti da pregiudizi sessisti.

Secondo il Global Gender Gap Report 2020 del World Economic Forum l’Italia si colloca al 76esimo posto su 153 Paesi, retrocedendo rispetto alla situazione registrata nel 2015, specialmente per la bassa presenza femminile nel mercato del lavoro pur a fronte di un aumento netto di laureate e donne con qualifiche professionali avanzate. Il 56% di laureati del nostro Paese sono donne e sono donne il 59,3% degli iscritti a corsi di specializzazione e dottorati post laurea (secondo i dati del Censis pubblicati a novembre dello scorso anno), ma se andiamo a guardare le università solo il 40,5% sono docenti o ricercatrici. È una questione meritocratica?

Gli uomini sono sempre i più bravi in qualunque campo e settore? La pensano evidentemente così la maggior parte dei nostri consiglieri regionali, spesso fieramente ostili a qualsiasi forma di quote e all’introduzione della cosiddetta doppia preferenza di genere che dovrebbe servire e riequilibrare la rappresentanza negli organi elettivi.

Uno degli argomenti “forti” che di norma vengono usati per giustificare l’esigua presenza di donne nelle istituzioni (e nelle fondazioni, così pare) è la ritrosia femminile a esprimere autocandidature. Da problema economico, sociale, politico e culturale il gender gap viene retrocesso quindi a “questione privata”. Le stesse donne, che così tanto si impegnano negli studi in tutti i gradi del nostro sistema di istruzione, arrivate a un certo punto della carriera deciderebbero, secondo questo stravagante paradigma interpretativo, di rinunciare e di accontentarsi di ruoli defilati.

Non importa che persino il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco non manchi di sottolineare i “molteplici benefici che derivano da una maggiore presenza e una più piena valorizzazione del contributo delle donne nell’economia e nella società”, una dichiarazione questa ripresa solo qualche mese fa dal Sole 24 ore, non esattamente un giornale femminista . Non conta che tutte le ricerche svolte sinora indichino il forte rischio di un arretramento dell’eguaglianza di genere nel periodo post Covid, dalla perdita del lavoro retribuito all’aumento di quello di cura non pagato per quanto riguarda in specifico la popolazione femminile, ciò che vale sempre e comunque sono le scelte degli apparati decisionali tradizionalmente a maggioranza maschile.

Come da più parti evidenziato, lasciando indietro le donne non ci sarà ripresa adeguata e ora più che mai occorre dare un segnale di lucidità, persino tralasciando le pur doverose questioni etiche e politiche legate all’equità e pari opportunità tra donne e uomini, e compiere i passi necessari per valorizzare in ogni ambito le competenze femminili. Ne va del futuro di tutti e persino le nomine nel comitato scientifico di una fondazione dovrebbero tenerne conto, ma visto che così non è stato, prima di far fare un passo indietro a tante donne sarebbe bello scoprire che ci sono uomini anche qui che, come il Ministro Provenzano, sanno comprendere la gravità di qualunque “rimozione di genere” e si facciano da parte riconoscendo la professionalità, le competenze, il valore di tante loro colleghe, mostrando che un cambio di marcia è ancora possibile.

Viviana Rosi

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