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In centinaia per salutare Gérard e Joël, saliti sulla “scala per il cielo” chiamata Cervino

Oggi, a Breuil-Cervinia, i funerali del Presidente delle guide e del Direttore della scuola di sci, morti giovedì in un incidente sulla parete sud della montagna. Il sermone di Don Paolo Papone, ricco in ricordi personali, e le parole di parenti ed amici.
Cronaca

Il momento del distacco, quello più difficile per tutti, quello che precede l’attimo in cui le bare ove riposano Gérard Ottavio e Joël Déanoz lasceranno il sagrato della chiesa di Breuil-Cervinia, è affidato alla musica. Il Presidente della Società delle guide e il Direttore della scuola di sci di Valtournenche, caduti giovedì sulla parete sud della Gran Becca, vengono salutati prima dal “Signore delle cime”, intonato dalla cantoria che ha accompagnato il rito religioso e da buona parte delle centinaia di persone sul piazzale troppo piccolo per accogliere tutti, e poi da “The Scientist” dei Coldplay.

Il testo della canzone parla di un “ritorno all'origine” e quella modellata dalla voce di Chris Martin è un’immagine simile a quella evocata, durante il sermone, da Don Paolo Papone, il parroco di Valtournenche che proprio dalle mani di Ottavio, lo scorso ferragosto, aveva ricevuto la piccozza di guida onoraria. Il sacerdote cerca, a voce alta, una risposta alla domanda “Cos’è il Cervino?”, e la trova citando la risposta del “Gab”, il celebre scalatore Patrick Gabarrou, all’indomani dell’apertura di una nuova via, sempre sulla sud: “c’est une échelle pour le ciel”

“Non è solo una palestra di roccia, – aggiunge Don Papone, all’altare per celebrare la funzione assieme a Ivano Reboulaz, altro prete valdostano che ha coniugato il ministero con la profonda passione per la montagna, arrivando anch’egli al corso di preparazione da guida – non è neanche solo lavoro e sostentamento. Non è solo storia, non è solo il posto dei sogni. E’ davvero una scala per il cielo. Lo guardi da Antey ed è già una freccia che punta in alto. Lo guardi da Cervinia e ti obbliga ad alzare la testa, a sollevare lo sguardo”. 

Un gesto che, a quel punto, le tante persone rimaste fuori dalla chiesa, nella quale era impossibile entrare già un’ora prima dell’inizio del funerale, compiono quasi istintivamente, muovendo gli occhi in verticale, perché il Cervino è proprio alle spalle del campanile. Tuttavia, niente da fare: le nuvole avvolgono completamente la vetta e, nell’ora e mezza dell’ultimo saluto ai due giovani alpinisti (39 e 36 anni), lasceranno cadere anche qualche fiocco di neve. 

Una circostanza di cui, probabilmente, Joël da maestro di sci avrebbe sorriso, mentre Gérard da guida si sarebbe preoccupato che nessuno fosse in quota. Erano così, diversi tra loro, pacato uno ed estremamente vitale l’altro, ma entrambi avrebbero riconosciuto e compreso la montagna sotto (e sopra) la quale sono cresciuti, ammirandola, amandola e frequentandola, serbando e creando tanti ricordi, alcuni dei quali riemersi oggi. 

“Un paio di mesi fa, con Joël – dice Don Papone – arrampicavamo sulla ‘De Amicis’, così vicina alla Deffeyes e altrettanto rotta. Lui buttava via i pezzi che gli restavano in mano e alcuni mi arrivarono sulle gambe e ne conservo l’ombra dei lividi, ora con un po’ di nostalgia”. Con Gérard, invece, “il cammino è stato più lungo. Ha sempre messo insieme montagna e fede, a partire dal 2011, dal matrimonio con Cecilia, lassù a Cignana, poi il battesimo dei figli, fino alla messa in vetta al Cervino”.

Tutt’attorno, innumerevoli stendardi delle scuole di sci e delle società delle guide, portati dalle “giubbe rosse” e dagli uomini con le corde e il cappello a tesa larga. Nei loro sguardi, oltre al dolore ancora vivo, alla ricerca del come (ma soprattutto del perché) una tragedia del genere sia potuta accadere, il comprensibile smarrimento di chi deve fare i conti con l’assenza. Uno strazio al quale, prima che le bare escano dalla chiesa, in una serie di interventi di colleghi, parenti e amici aperta dal sindaco Deborah Camaschella, sono proprio i genitori dei due scomparsi a cercar di porre fine.

“Questi due fulmini che sono caduti, – quasi sussurra il padre di Ottavio – che possano accendere tanta luce. Ecco, io penso che il dolore sia una cosa bella. Solo che bisogna prenderla e metterla insieme alla gioia e diventa un’energia incredibile. Solo così possiamo andare avanti. Non possiamo fare la guerra con il dolore”.

Una sensazione che la madre di Déanoz ha purtroppo ben presente, perché il 18 novembre di trentadue anni fa, in un incidente in montagna (una valanga al Col Serena), perse già il marito: “Joël voleva seguire il suo papà. Io non gli ho mai detto di odiare la montagna. Lui amava sciare e gli ho lasciato libertà: voleva fare il maestro e ci è riuscito. Per me è un grande dolore, ma cercherò di essere forte, però oggi ho visto l’affetto e l’amore che mio figlio aveva attorno a sé. Gérard e Joël sono morti facendo ciò che li rendeva contenti: essere in montagna, essere spiriti liberi”.

Una libertà e una spontaneità riconosciute da tutte le voci levatesi oggi, assieme alle doti di mediazione che avevano consentito ai due di rivestire i ruoli di responsabilità cui erano arrivati. Una libertà che mancherà e che, d’ora in poi, c'è da esserne sicuri visto l'abbraccio tributato dalla Valle a Ottavio e Déanoz nell'ultimo saluto, finirà nello zaino di chiunque – parte della comunità ai piedi dei 4478 metri della vetta che sovrasta la Valtournenche – salirà su quella “scala verso il cielo”.


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