Le 481 forme di Fontina per cui l’allevatore Giulio Jacquemod era finito a processo con i figli, contitolari di un’azienda agricola a La Thuile, non smettono di far parlare. Il procedimento penale si era chiuso, lo scorso 29 giugno al Tribunale di Aosta, con i tre imputati assolti dalle accuse, a vario titolo, di frode nell’esercizio del commercio, violazione della disciplina igienica della produzione degli alimenti e falso ideologico. Nel sentenziare, il giudice aveva disposto la restituzione dei formaggi alla famiglia, ma nel giro di sette giorni l’Unità Sanitaria Locale della Valle d’Aosta è intervenuta su quelle forme.
Con vari provvedimenti, l’azienda sanitaria ha deciso il loro “divieto di immissione in commercio” e la limitazione dell’“ambito di consumo dei prodotti al solo nucleo familiare della società agricola Jacquemod”. Per 39 forme è stata poi ordinata dall’Usl la distruzione, mentre su altre è scattato il fermo cautelativo sanitario. I 481 formaggi, infine, devono essere rimossi dal deposito di Pré-Saint-Didier della Cooperativa Produttori Latte e Fontina, al quale erano stati conferiti dall’azienda zootecnica.
Atti della struttura complessa Igiene alimenti di origine animale, contro i quali la società Jacquemod (assistita dai legali Jacques Fosson e Ivan Pasquettaz) ha presentato ricorso al Tar, chiedendone non solo l’annullamento, ma anche la sospensione temporanea dell’efficacia. Sul secondo aspetto, il presidente del Tribunale Amministrativo Regionale Andrea Migliozzi si è espresso con un decreto, lo scorso 19 ottobre.
Motivando che “nella specie non appare ravvisabile un pregiudizio di estrema urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della prossima camera di consiglio”, ha rigettato l’istanza di misura cautelare provvisoria. La questione verrà quindi affrontata, nuovamente, nell’udienza fissata per il prossimo 14 novembre. Al processo di giugno, il difensore di Jacquemod aveva sottolineato come le forme corrispondessero a “40/50mila euro di fatturato,cifra importante per un’azienda a conduzione familiare”. Nel chiederne il dissequestro, poi accolto dal giudice, aveva inoltre affermato che “le forme sono ancora commercializzabili, ma più tempo passa, più diventa difficile farlo”.