Raccogliere la tradizione di famiglia, (r)innovarla, e ridare alla luce vecchi vitigni autoctoni ormai scomparsi. La storia di Didier Gerbelle vigneron non inizia 13 anni fa, con la nascita dell’azienda vitivinicola, ma all’inizio del secolo scorso, quando i suoi avi erano dediti alla coltivazione della vigna. Come tanti valdostani, e come tanti ad Aymavilles, paese modellato dai vigneti che guardano i tre castelli di Sarre, Saint-Pierre ed Aymavilles stesso.
La famiglia, una costante nei vini di Didier Gerbelle
Didier ha 33 anni ed è uno dei membri più giovani della Giunta di Coldiretti Valle d’Aosta. Dopo aver finito i sei anni della scuola enologica di Alba nel 2006, con un diploma da perito agrario e perito agrario specializzato in viticultura ed enologia, la sua avventura ha avuto inizio: “Avevo vent’anni, ho proseguito la tradizione di famiglia, con mio nonno che ha imbottigliato vino fino al 1989”, racconta Didier. “Sono partito con un ettaro e mezzo di terreno ed 8.000 bottiglie, oggi sono a più di 7 ettari, divisi principalmente tra Aymavilles e Villeneuve, e produco circa 30.000 bottiglie”.
Ad aiutare Didier c’è la sua famiglia, ma presto dovrebbe aggiungersi una persona in più: “Sto ingaggiando un ragazzo, ma non lo considero come un mio dipendente: è un mio amico che lavora con me. Il nostro è un lavoro pesante di suo, impegnativo, per cui bisogna dare qualcosa di bello a chi viene a lavorare con te: bisogna vivere l’azienda come una famiglia”.
E, anche quando parla dei suoi vigneti, Didier si sofferma molto sui rapporti di parentela che ci sono tra i diversi vitigni, parlando di “padre”, “madre”, “nonni”. Non è un caso, allora, che anche il suo vino più caratteristico abbia un riferimento famigliare: “L’Aîné è dedicato al mio primogenito, Christophe. È 100% Neret, un antico vitigno autoctono che era andato perduto, e che abbiamo riscoperto anche attraverso esami genetici. Ero partito nel 2009 con 25 piante, ora sono a mezzo ettaro ed è uno dei vitigni che coltivo di più. Secondo alcuni scritti storici, era utilizzato per fare dei vini molto importanti, bevuti dal re nei castelli valdostani”.
Da Aymavilles agli States
Sono tredici i vini prodotti da Gerbelle: oltre ai due bianchi Le Plantse (100% Pinot grigio) e Jeux de Cépages (costituito in parti uguali da Sauvignon blanc, Pinot blanc, Gewurztraminer e Viognier) e la sua variante Jalousie (un passito) ed il rosé Premetta, il piatto forte sono i rossi, ben nove, con uve di Petit rouge, Cornalin, Premetta, Fumin, Mayolet e Vuillermin, oltre al già citato Neret.
“L’obiettivo”, racconta ancora Didier Gerbelle, “è quello di essere a chilometri zero anche per quanto riguarda le botti: oltre all’affinamento in anfore o acciaio, l’idea è di fare le botti con il legno dei nostri larici e ciliegi”.
Tanta innovazione e tanta sperimentazione, come la vinificazione a lunga macerazione (quest’anno arrivata a 120 giorni), in un lungo percorso fatto di passione e curiosità: “Il primo che beve il mio vino sono io, quindi so che deve essere buono e apprezzato. Tengo molto alla zonazione, bisogna mettere in risalto, nel bicchiere, il diverso terreno, il diverso clima”.
E l’apprezzamento non si ferma ai confini regionali: “Il 50% lo vendo in Valle, nel resto d’Italia è più difficile. Mi piacerebbe portare qualche bottiglia in locali un po’ caratteristici. La forza è, però, all’estero: ho mercato in Asia, Nord Europa, Ucraina, USA. In America sono state vendute al bicchiere 600 bottiglie di Petit rouge: vuol dire che piace”.
Il 2019, un anno di transizione
Dopo una sostanziale stabilità, nel 2019 le carte in tavola sono di nuovo cambiate, con l’acquisto di un nuovo appezzamento di terreno ed il rilevamento di una nuova cantina: “Ora sono in una fase di transizione, in pieno trasloco”, racconta tra una telefonata e la gestione di alcuni ordini. “Dopo più di dieci anni che fai una cosa, ora è come se fosse il primo giorno di scuola”. Un nuovo inizio, però, di solito coincide con nuove possibilità, e ad uno a cui piace sperimentare come Didier le idee non mancano: “Sto lavorando a due vitigni autoctoni bianchi, di cui siamo poveri in Valle d’Aosta. Devo anche decidere cosa fare del nuovo appezzamento di terra, mi sono quasi completamente convinto di un’idea che è molto stimolante, ma ancora non posso dire niente”.
I sacrifici non bastano a fermare la voglia e la passione di Didier: “Certo, quando suona la sveglia ho qualche ripensamento”, dice ridendo. “Però la parte creativa dà grandi soddisfazioni: crei qualcosa di nuovo, qualcosa di tuo”.