Forse può sembrare strano pensare che i tuberi siano un argomento appassionante. In genere, si va al supermercato o dal fruttivendolo e si comprano le patate, senza pensare che dietro ci sia un mondo ed una storia. Basta però andare nella Valle del Lys e fare due chiacchiere con uno dei due Federico – Chierico e Rial – di Paysage à Manger per scoprire che no, una patata non è semplicemente una patata.
Piantate nei campi di Gressoney-Saint-Jean, Issime e Fontainemore ci sono ben circa 60 varietà di patate, tutte con una particolarità: sono patate storiche, antiche. Paysage à Manger è infatti un’azienda agricola con marchio di qualità Pro Specie Rara, una fondazione svizzera che tutela la diversità socio-culturale e genetica dei vegetali e degli animali.
Il fondatore Federico Chierico: il fisioterapista con l’amore per la montagna ed i suoi aspetti antropologici
Tra i fondatori dell’azienda valdostana c’è Federico Chierico, biellese, che ha una storia articolata ed una capacità vulcanica di raccontarla. “Mi innamoro della montagna fin da piccolo, quando coi nonni venivo in Val d’Ayas per le vacanze e ci rimanevo per dei mesi. Ancora adesso ho delle tracce di quell’amore forse un po’ infantile: la natura forte, la neve, il cambio delle stagioni, l’armonia dei paesi. A 14 anni ero convinto che sarei andato a vivere in montagna, poi la vita e le ambizioni mi ci hanno allontanato. Sono venuto a vivere ad Arnad con la mia compagna dell’epoca e lavoravo come fisioterapista, ma il mio lavoro non mi piaceva e vivere ai piedi della montagna non mi bastava”.
Nel 2007, Federico scopre un corso di laurea capace di legare il suo interesse per la montagna ed i suoi aspetti naturali ed antropologici, “Scienze e culture delle Alpi”, un’interfacoltà tra Agraria, Lettere e Scienze naturali che oggi non esiste più. Nel frattempo, sente di voler cambiare vita, nonostante i pareri avversi di tutti, tranne di qualche amico e della sua attuale moglie.
Così inizialmente loro due si trasferiscono a Fontainemore, a 1700 metri, e per quattro anni lui gestisce la riserva naturale del Mont-Mars: “È stata un’occasione per approfondire quello che avevo studiato, ma lavorare con la pubblica amministrazione non faceva per me. Così questa cosa dell’agricoltura ha iniziato a macinare dentro di me, anche perché i miei avevano una campagna a Biella che però vivevano male. Ho iniziato a prendere qualche campo abbandonato, più che altro per autoconsumo, poi per caso ho scoperto il mondo delle vecchie varietà ed è stato come scoperchiare il vaso di Pandora: il racconto, la condivisione, oltre all’aspetto organolettico e della biodiversità, mi facevano aprire dei mondi anche nel rapporto con il turismo”.
La nascita di Paysage à Manger
Dopo aver scoperto Pro Specie Rara, Federico Chierico si mette in società insieme a Rita Gros, Roberto Ronco ed Emanuele Panza (solo quest’ultimo è rimasto) dando vita a Paysage à Manger e provano a farlo di lavoro, anche perché le cose andavano molto bene. Nel 2014 arriva quindi l’orto di Gressoney – circa 6000 metri quadri – coltivato, oltre che a patate, ad altri ortaggi, spesso anch’essi antichi.
Le patate, però, erano l’aspetto per lui più affascinante: “Dicevano che in Valle d’Aosta, delle cinque varietà autoctone antiche di cui avevamo scoperto l’esistenza attraverso ricerche ed interviste, non ne era sopravvissuta nessuna. Poi per caso in Svizzera abbiamo scoperto l’unica varietà sopravvissuta, chiamata Verrayes ma solo perché chi l’ha portata lì era di quel paese. Quello che vogliamo fare è raccontare il territorio ma anche portarlo nei piatti: benissimo le banche dei semi e le associazioni, ma questo è patrimonio di tutti e soprattutto della nostra comunità, quindi l’obiettivo è anche portarlo anche nella ristorazione, oltre che nel turismo. Con queste idee in testa, ho incontrato Fede ed è stato un big bang”.
Il big bang dell’incontro con Federico Rial
“Fede” è l’altro Federico, Rial, autoctono di Gressoney, ex studente di Ingegneria dell’Ambiente e del Territorio a Torino, ma tornato qui “per dare il mio contributo alla comunità e al territorio”. Anche per lui l’incontro con Federico è stato decisivo, perché gli ha fatto scoprire questo “patrimonio culturale pazzesco, è divertente e stimolante vedere come cresce una varietà, come reagisce”. Il percorso anche per lui, digiuno di agricoltura e, soprattutto, di dinamiche imprenditoriali, è stato lungo e molto formativo, passando anche per il bando RestartAlp che gli ha fornito alcune basi importanti.
“Le patate rappresentano il nostro core business, facciamo una ricerca continua che ci permette di crescere non a livello quantitativo ma qualitativo. Le 60 varietà di patate che abbiamo hanno la caratteristica di provenire dalla catena alpina, soprattutto Svizzera e Francia ma anche Belgio o, per mantenere il rapporto con la nostra vallata, da altre colonie Walser. Non tutte sono in produzione, alcune le abbiamo solo per la propagazione della semenza”.
Condivisione, racconto e tradizione di un patrimonio biologico e culturale
L’orto produce anche insalate, cavoli, cavolfiori, zucchine e tantissimo altro, che il cliente può raccogliere o scegliere direttamente nel campo: “Ci piace che l’orto sia uno spazio di condivisione, anche per far capire ai bambini da dove nasce quello che trovano in tavola. La stagionalità è molto serrata in alta montagna, e ci sono sempre lavori da fare. Iniziamo la vendita generalmente a fine giugno, fino a inizio novembre. L’anno scorso a fine stagione, per non sprecare niente, abbiamo fatto una sorta di “svuotaorto”, dove le persone potevano raccogliere quello che volevano. Il sabato facciamo un mercatino, lo Samstag Märt, insieme ad altre aziende del territorio con cui abbiamo creato una rete”.
“Quello delle varietà antiche di patate è un prodotto molto particolare, quindi cerchiamo di veicolarlo attraverso la gastronomia, la ristorazione, ed il marketing. C’è un contenuto culturale molto interessante che merita di essere conosciuto e che può dare possibilità economiche a tutta la comunità. Questa è la tradizione, nel vero senso della parola: tramandare qualcosa concretamente e culturalmente, il seme ed il racconto. La modernità ha un po’ cancellato questa tradizione, moltissime varietà si sono perse, ed il percorso di recupero e sviluppo è lunghissimo. Noi siamo rivolti al futuro, prendendo il buono ed i valori del passato: finché ci sono queste varietà ci si può riappropriare di quel patrimonio e svilupparlo. È col tramandare che si crea la tradizione”.