La deliberazione adottata nel maggio 2020 dalla Giunta comunale di Quart, con cui era stata completata la mappatura degli “obiettivi sensibili” ai fini dell’applicazione della legge regionale sul gioco d’azzardo patologico (includendo nell’elenco alcune realtà private, mentre sino ad allora ne comprendeva solo di natura pubblica), è legittima. Lo ha stabilito il Tar della Valle d’Aosta, rigettando – con una sentenza pubblicata ieri, martedì 22 giugno, il ricorso della società “X2 Snc”, che chiedeva l’annullamento dell’atto dell’ente allora guidato da Eugenio Acheron.
La vicenda
L’azienda, nel 2019, aveva avviato l’iter per aprire – in località Amérique, all’interno di un locale precedentemente adibito a discoteca – un’agenzia per la raccolta di scommesse ippiche e sportive, con l’installazione di apparecchi da gioco “Videolottery”. Per questi ultimi, la norma regionale prevede che il loro esercizio non possa avvenire ad una distanza inferiore a 500 metri da vari obiettivi sensibili. La lista include, tra l’altro, istituti scolastici, strutture ricettive per categorie protette, sanitarie, ricreativo-culturali e ludoteche per minori. Sulla base di quel principio, nel settembre del 2019, la Questura di Aosta aveva annullato sette delle otto licenze attive nella Regione.
Al momento del deposito della documentazione da parte della “X2 Snc”, il Comune (la “mappatura” delle attività rilevanti sul territorio è demandata dalla legge ai singoli enti) aveva incluso solo obiettivi di natura pubblica (tanto che aveva rilasciato alla richiedente il titolo edilizio per variare la destinazione d’uso dell’immobile). A seguito dei “richiami” di Regione e Questura sulla logica della norma (il contrasto della dipendenza dal gioco di azzardo patologico, segno “della volontà del legislatore regionale di comprendere nel divieto ogni ente, istituzione, soggetto pubblico o privato), il Municipio completò la classificazione, comprendendo le entità private elencate nella delibera del maggio 2020. Tale atto fece ricadere, per la presenza di obiettivi nel raggio della distanza minima, il locale nella zona interessata dal divieto e la Questura rigettò la domanda di nuova licenza.
La sentenza
Da qui il ricorso dell’azienda al Tar contro il provvedimento comunale, di cui i legali Nicola Thiébat e Sergio Vincenzetti hanno sostenuto l’illegittimità sotto più profili (Comune, Regione e Ministero dell’interno, quali controparti, si sono costituite nel giudizio, rispettivamente con l’avvocato Gianni Maria Saracco, con l’avvocatura interna e con quella distrettuale di Torino). Nell’analizzare la questione, i giudici si pongono anzitutto “un problema ermeneutico” rispetto all’espressione “strutture ricreative” utilizzata nella legge regionale, per concludere che “l’uso di una locuzione così ampia sia il chiaro indice della volontà del legislatore regionale di comprendere nel divieto ogni ente, istituzione, soggetto, pubblico o privato, che sia un centro di aggregazione di iniziative a carattere culturale”.
Nel caso specifico, quelle “mappate” dal Comune con la delibera, pur essendo “attività private rivolte ai propri associati, in cui ad ogni modo non vengono svolti servizi pubblici”, rispondono “a quelle esigenze di tutela rafforzata per l’indiscussa presenza di forme qualificate di aggregazione antropica in contesti ‘lato sensu’ culturali e di sviluppo, come singoli o formazioni sociali, della complessiva personalità umana”. Pertanto, “non appare irragionevole né esorbitante dal perimetro normativo primario” la “scelta comunale” (e, di riflesso, quella del Questore di non concedere la licenza) di farli rientrare tra i “luoghi sensibili”.
Nessuna incostituzionalità della legge
Il ricorso poneva poi un tema di incostituzionalità della legge regionale sull’azzardopatia. Al riguardo, nel richiamare precedenti pronunciamenti del Tar (relativi proprio ai giudizi innescati dalla revoca di autorizzazioni precedentemente attive), i magistrati amministrativi ricordano che la Corte Costituzionale ha confermato, ancora nel 2019, un orientamento secondo cui, “mentre l’individuazione dei giochi leciti e la disciplina delle modalità d’installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco rientrano nella competenza legislativa dello Stato”, alle Regioni “non è preclusa l’adozione di ‘misure tese a inibire l’esercizio di sale da gioco e di attrazione ubicate al di sotto di una distanza minima da luoghi considerati ‘sensibili’, al fine di prevenire il fenomeno della ‘ludopatia’’”.
Le norme regionali, infatti, “prendono in considerazione principalmente le conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi da parte degli utenti”, pertanto “sono ascrivibili alle materie della tutela della salute e del governo del territorio”. “Non può quindi essere messa in dubbio la competenza della Regione Valle d’Aosta – si legge nella sentenza – a disporre interventi per prevenire la ‘ludopatia’, tra cui anche la fissazione di distanze minime tra le sale da gioco e alcuni luoghi ‘sensibili’”.
La “tentazione” (poi sfumata) della Regione
Nello scorso marzo, il tema dell’inclusione di attività di natura privata tra quelle considerate sensibili aveva fatto irruzione nell’attualità politica ed amministrativa perché, tra le pieghe della legge omnibus che il Consiglio regionale si apprestava a votare, era affiorata una proposta di modifica della normativa sull’azzardopatia, finalizzata a sottrarli al divieto. Ne erano seguite proteste di parte della maggioranza regionale (in particolare di Progetto Civico Progressista), nonché degli ordini dei medici e degli psicologi, oltre alla contrarietà del Comune di Aosta. Uno dei motivi di contrarietà alla modifica era rappresentato dal suo possibile effetto “ad personam” (con riferimento, tra l’altro, proprio al caso della “X2 Snc”, per cui pendeva ancora il ricorso definito ora).
La Giunta regionale aveva, infine, fatto dietrofront e soppresso l’articolo di modifica. Il presidente della Regione Erik Lavevaz, nell’annunciare il passo indietro sul dossier, aveva spiegato che la norma “legata all’azzardopatia ha bisogno di un confronto più articolato e di un tempo di analisi maggiore”, rimandando l’articolo soppresso ad “una trattazione più strutturata”. Ora, per compierla, le forze politiche hanno a disposizione anche la sentenza del Tar, che conferma la ratio iniziale della legge regionale.