Con il deposito mercoledì scorso, 20 ottobre, trenta giorni (dei sessanta a disposizione) si sono rivelati sufficienti ai giudici della quarta sezione della Corte d’Appello di Torino per scrivere le motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 20 settembre, hanno riformato ampiamente l’esito del primo grado del processo su vari episodi corruttivi nell’ambito di alcune società partecipate regionali, finito dinanzi al Gup di Aosta nel marzo 2019 con sei condanne.
In particolare, in secondo grado è stato dichiarato prescritto il reato contestato all’ex presidente della Regione Augusto Rollandin, stabilita la colpevolezza (per un solo capo d’imputazione, scagionandoli dagli altri) del già consigliere delegato del Forte di Bard Gabriele Accornero e del titolare del “Caseificio Valdostano” Gerardo Cuomo, nonché decisa l’assoluzione del libero professionista Simone D’Anello, dell’artigiano Salvatore D’Anello e dell’impresario Davide Bochet.
Il trasferimento di Deval
Secondo l’accusa (l’indagine venne sviluppata dai Carabinieri del Reparto operativo, coordinati dal pm Luca Ceccanti), l’allora presidente della Regione favorì, facendo “pressioni”, il trasferimento della Deval da un magazzino occupato all’Autoporto, per consentire l’ampliamento della sede del grossista alimentare, con il manager Finaosta quale “trait d’union” tra i due. Cuomo, agli occhi della Procura, sarebbe stato favorito anche attraverso la rinegoziazione dei contratti di locazione degli immobili a condizioni vantaggiose.
Per la Corte d’Appello, tuttavia, “non vi è stata da parte degli imputati alcuna attività contraria ai doveri di ufficio: l’interessamento di Rollandin e di Accornero non è stato particolarmente incisivo e la Deval” ha “avuto tempo e modo di scegliere, con sufficiente autonomia, la sede ove allocare il nuovo magazzino, facendo aspettare Cuomo quasi un anno e mezzo, e trovando una nuova ubicazione ad Aosta, comoda come la precedente, senza costi aggiuntivi”.
Rinegoziazione contrattuale logica e utile
Quanto alla rinegoziazione, essa appare ai giudici “del tutto logica ed utile per tutte e due le parti contrattuali, in particolare per Cuomo”, che “doveva effettuare degli investimenti in quei siti produttivi ed aveva necessità di certezze in ordine al termine dei contratti”, ma “anche per l’impresa regionale, poiché le avrebbe consentito uno snellimento degli oneri amministrativi”. La sentenza sottolinea poi che l’unificazione delle locazioni fu ottenuta da Cuomo nell’agosto 2018, quando Rollandin non era più presidente e la maggioranza era cambiata.
La tesi accusatoria era che, per i suoi “favori”, l’ex presidente della Regione fosse stato “remunerato” dal grossista alimentare con un cambio di pneumatici per la sua auto (ma per i magistrati “non è stata raggiunta la prova che la sostituzione delle gomme sia stata pagata da Cuomo”) e con la possibilità di tenere un comizio prima delle regionali 2013 nella sede dell’azienda alimentare, dinanzi a una ventina di dipendenti.
Il comizio fu reato, ma estinto
La Corte lo ritiene “un beneficio modesto”, in particolare se riferito a un politico “che all’epoca godeva di ampio favore nell’elettorato e che era destinatario di migliaia di voti di preferenze”. Tuttavia, aver potuto svolgere “un comizio in una sede privata, a differenza dei concorrenti, con la possibilità di raggiungere elettori che forse non avrebbero preso parte a un’adunanza di quel tipo in altra sede ha costituito un vantaggio per il candidato”. La modestia del vantaggio, pertanto, “non esclude il valore penale della condotta”.
Detto questo, però, i magistrati sottolineano che il reato (riqualificato in corruzione per l’esercizio delle funzioni) risale, al più tardi, al maggio 2013 (mese della consultazione elettorale) e si è quindi “estinto per intervenuta prescrizione, tenendo conto dei 64 giorni di sospensione per l’emergenza sanitaria, nel gennaio 2021”, cioè poco prima dell’inizio del processo d’appello, cominciato il 16 febbraio di quest’anno.
Cuomo pagò per clima favorevole in Finaosta
La condanna ad un anno di carcere (pena sospesa) per Accornero e Cuomo, ritenuti colpevoli di corruzione per l’esercizio delle funzioni, si riferisce, invece, al pagamento, da parte del secondo di una fattura di un artigiano che aveva svolto lavori a casa del primo. Così facendo, è annotato sentenza, “Cuomo recava un apprezzabile vantaggio, in termini economici, al pubblico ufficiale” Accornero.
La ragione del pagamento “non può essere ravvisata nel rapporto di amicizia tra i due soggetti, all’epoca senza dubbio esistente, ma non in termini tali da giustificare il versamento di un importo non trascurabile”. “E’ incontestabile – osserva la Corte – che quindi Cuomo abbia pagato” la fattura “perché voleva creare in Finaosta e più in generale all’interno dell’ente regionale un clima favorevole per sé e per le proprie iniziative imprenditoriali e Accornero (dirigente della finanziaria, ndr.) appariva un utile strumento in questa direzione”.
Associazione per delinquere? Nessun elemento
Quanto all’ipotesi di associazione per delinquere, da cui il politico, l’imprenditore e il manager erano stati assolti in primo grado, ma che era stata oggetto del ricorso della Procura di Aosta, i giudici valutano che che “in un procedimento nel quale i fatti penalmente rilevanti commessi dagli imputati non sono di particolare gravità” (risolvendosi nel comizio di Rollandin nel caseificio e nella fattura dei lavori in casa Accornero pagata da Cuomo) e “non appaiono connessi tra loro”, oltre ad essere “stati realizzati a distanza di oltre due anni”, non “è stata raggiunta la prova di alcuno degli elementi costitutivi del reato associativo”.
L’urgenza dei lavori all’Opera Ferdinando
Così come quello sull’assegnazione al “Caseificio Valdostano”, da parte del Forte di Bard, delle forniture di “Food & Beverage” per l’endurance trail 4k, il filone investigativo su alcuni lavori nella fortezza della bassa valle è stato oggetto di assoluzioni per tutti i coinvolti. Quanto alla turbata libertà degli incanti per alcuni lavori all’Opera Ferdinando – di cui l’accusa sosteneva il frazionamento ingiustificato per “bypassare” la gara pubblica (ed assegnarli direttamente a Bochet) e una “allegazione arbitraria” della loro necessità, da parte di Accornero – “ad avviso della Corte non si è raggiunta la certezza in ordine alla pretestuosità dell’opera, finalizzata a una illecita suddivisione dei lotti”.
“Le perdite di acqua erano ingenti – aggiunge la sentenza – e se pure, grazie all’intervento di Bochet, erano state bloccate non appariva irragionevole qualificare come urgente l’intervento sulle tubazioni, che avevano dimostrato di essere corrose e potevano in qualsiasi momento” ripetersi in altri punti, “mettendo a rischio un bene culturale come il Forte”. Venendo infine agli interventi su uno scalone al Museo delle Alpi, per cui erano imputati Simone e Salvatore D’Anello e Accornero, secondo la sentenza “il quadro probatorio è confuso e contradditorio” e “la ricostruzione storia della vicenda è incerta”, da qui lo scagionamento dei coinvolti.