Ricorso alla Consulta sulla sentenza Casinò, la Regione chiede la sospensiva

Il procedimento innescato dal verdetto potrebbe provocare – si legge nell’impugnazione - la decadenza dei 6 consiglieri condannati ancora in carica, così da “compromettere la regolare e genuina funzionalità” del Consiglio Valle. Intanto, alcune compagnie assicurative propongono di pagare il 90%.
Il Palazzo della Corte Costituzionale
Cronaca

Tra le pagine del ricorso depositato dalla Regione alla Corte costituzionale, sollevando il conflitto di attribuzione sulla sentenza della Corte dei conti che ha condannato 18 politici per i finanziamenti al Casinò, spunta la richiesta di sospensiva del verdetto. Il motivo? Per lo scenario di “lite pendente” in cui potrebbero incorrere alcuni dei condannati, il procedimento innescato – si legge nell’atto dell’avvocato Giovanni Guzzetta – è suscettibile “di provocare, in attesa della definizione nel merito” del giudizio, la decadenza dei sei “consiglieri regionali attualmente in carica, reputati responsabili per danno erariale”, così “da compromettere la regolare e genuina funzionalità dell’organo costituzionalmente previsto”.

L’insindacabilità violata

Date per la discussione, ad oggi, la Consulta non risulta averne fissate, ma a questo punto è verosimile che le udienze – sulla base di quanto avvenuto, ad esempio, con la legge regionale per le riaperture Covid (impugnata dal Governo e poi ritenuta incostituzionale dalla Corte lo scorso febbraio) – saranno due: una sulla sospensione temporanea dell’esecuzione della sentenza e l’altra sul merito del ricorso. Quanto a quest’ultimo, il perno su cui esso ruota per chiedere l’annullamento della sentenza è la presunta violazione delle prerogative riconosciute ai consiglieri regionali dall’articolo 24 dello Statuto, secondo il quale “non possono essere perseguiti per le opinioni espresse o i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.

In sostanza, ciò che la Regione contesta allo Stato è “non già l’astratta sussistenza, sul piano oggettivo, della giurisdizione della Corte dei conti, in tema di responsabilità per danno erariale degli amministratori regionali, inclusi quelli delle regioni speciali”, quanto “la possibilità di sindacare, in quella sede, un’attività – e l’atto nel quale essa si è tradotta – che, sebbene non formalmente legislativa, è stata svolta per il tramite del voto reso da una maggioranza di consiglieri regionali”, le cui “prerogative di autonomia e di indipendenza” sono appunto presidiate dallo Statuto speciale.

Quella delibera? Un atto di indirizzo

In sostanza, la delibera dell’ottobre 2014 che ha disposto la ricapitalizzazione della “Casinò de la Vallée” (in cui i giudici della terza Sezione vedono la “colpa grave” dei 18 condannati, per un totale di 16 milioni di euro da rimborsare) costituirebbe un “atto di indirizzo politico”, sul quale la Corte dei Conti non avrebbe potuto esprimersi. L’argomento era stato già disinnescato dai magistrati contabili nelle sentenze, ma le loro conclusioni – scrive l’avvocato Guzzetta – “non convincono”, perché “non appare infatti corretto” ritenere, come invece fatto dai giudici, che tale nozione di atto “coincida esclusivamente con gli atti (e gli indirizzi) di carattere generale ed astratto”.

“Da questo angolo visuale, allora – prosegue il ricorso – sembra più corretto ritenere che l’atto di indirizzo politico sia quello attraverso il quale si identificano le scelte qualificanti per la direzione di una comunità politica”. In questo senso, “che la deliberazione fosse manifestazione di un’attività consiliare volta a compiere scelte strategiche e di indirizzo politico per la cura di interessi rilevanti della collettività”, agli occhi di piazza Deffeyes, è testimoniato anche dall’aver adottato “contestualmente, e complementarmente” alla ricapitalizzazione, un ordine del giorno “di impegno della Giunta regionale per lo svolgimento di una serie di adempimenti finalizzati ad affrontare in modo sistematico le questioni di governo generale di questo asset regionale, al fine di un suo rilancio”.

“E’ evidente, pertanto, – afferma l’impugnazione – come la deliberazione si inscrivesse all’interno di una complessa e articolata iniziativa di policy pubblica (di cui la deliberazione medesima rappresentava solo un primo atto emergenziale, in vista di una complessiva strategia di riqualificazione che avrebbe implicato ulteriori scelte di indirizzo politico) svolta dal massimo organo politico-rappresentativo della Regione, per fronteggiare una situazione che richiedeva scelte rilevanti di responsabilità politica”.

L’iter prosegue

Nell’attesa della fissazione della discussione del ricorso (e dell’istanza di sospensiva), l’iter di esecuzione della sentenza (rispetto alla quale sono stati presentati anche alcuni ricorsi alla Corte di Cassazione per difetto di giurisdizione), avviato dall’avvocatura regionale al momento della sua notifica a piazza Deffeyes da parte della Corte dei Conti, prosegue. Gli uffici avevano proceduto, a metà settembre, alla “costituzione in mora” dei condannati ancora in carica, quale atto preliminare dell’azione di recupero dei crediti vantati dall’ente.

A quanto si apprende, nel frattempo, le compagnie assicurative di buona parte dei politici coinvolti (resterebbero scoperti solo i tre implicati nel procedimento penale d’appello sui finanziamenti alla Casa da gioco, cioè Mauro Baccega, Ego Perron ed Augusto Rollandin, ed un quarto ex consigliere sprovvisto di copertura) hanno proposto di versare il 90% della somma dovuta (il rimborso prevalente è di 566mila euro a testa), lasciando al condannato il restante 10%. Un’ipotesi che starebbe raccogliendo il favore di molti, nell’ottica intanto di versare, chiudere la partita, poi se la Corte costituzionale dovesse pronunciarsi per l’annullamento della sentenza, verrà il tempo delle richieste di rimborso.

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