“Vocazione, fraternità umana e grazia di Dio”. Sono le tre “parole chiave” con cui il Vescovo di Aosta, monsignor Franco Lovignana, evoca i momenti salienti della sua ordinazione episcopale, di cui alle 15 di domani, sabato 18 dicembre, verrà celebrato il decimo anniversario con una messa nella Cattedrale di Aosta. Il prelato è tornato a quei giorni di fine 2011 stamane, in un’intervista in diretta nel programma “Valle d’Aosta Minuto per Minuto”, in onda su Radio Proposta inBlu, l’emittente diocesana.
Le emozioni dell’ordinazione
Il 19 ottobre di dieci anni fa, a monsignor Lovignana venne comunicata la nomina decisa da Papa Benedetto XVI e “ho ripensato alla mia vocazione sacerdotale, come un nuovo inizio, una ripartenza”. Il successivo 9 novembre, invece, quando monsignor Giuseppe Anfossi annunciò il suo successore, “ho percepito in tutti i presenti – ed erano tanti, sacerdoti, laici, collaboratori, amici – questa fraternità umana, che mi ha incoraggiato”. Infine, la sensazione evocata per il giorno dell’ordinazione è “che quel che accadeva era più che umano, che c’era di mezzo la mano di Dio”.
Le problematiche incontrate
Venendo alle asperità incontrate nell’affrontare il ministero, monsignor Franco Lovignana individua quale “più grossa problematica alla quale mi trovo confrontato in questi anni” il fatto “di passare da una realtà totalizzante, penso alle parrocchie, ad una realtà di comunità dentro un’altra comunità”. Dopodiché, sul piano strettamente ecclesiale, rappresentano criticità “la riduzione del clero e la mancanza di vocazioni sacerdotali”, mentre socialmente l’accento è sulla povertà, progredita anche in Valle d’Aosta, “basta vedere i dati della nostra mensa Caritas”. In campo culturale, “infine, mi sembra di vedere una certa assenza di dibattito alto”.
I ricordi più intensi
I ricordi gradevoli dei dieci anni alla guida della Chiesa valdostana attengono, in particolare, a due momenti. Il primo è “la vista pastorale che ho fatto alle comunità” della Diocesi, “rapida, ma molto intensa”, perché “ho parlato io”, ma “hanno parlato anche le persone, quasi sempre e molto”, dando vita a “momenti veri, incontri di famiglia”. L’altra “fotografia” dall’album delle cose belle riguarda “l’anno santo della Misericordia, grande intuizione che ebbe papa Francesco all’inizio del suo pontificato, che ha toccato un bisogno che c’era dentro alle comunità e dentro alla società”.
La pandemia: “tragedia immane”
Infine, invitato ad una riflessione sulla pandemia che da inizio 2020 scuote il mondo, monsignor Lovignana ha parlato di “una tragedia immane”, che lo ha spinto a “riflettere sul modo in cui noi, soprattutto noi occidentali, vediamo il ruolo dell’umanità dentro al mondo”. “Abbiamo concepito noi stessi come onnipotenti, non c’è nulla che non possa essere risolto dalla tecnica. – ha aggiunto – Ci siamo dovuti confrontare con un nemico, perché così è, che non era conosciuto, quindi ignoto, e per giunta che non si riusciva a fermare in nessun modo, o quasi”.
Ricordando di aver raccolto “la sofferenza di moltissime persone, soprattutto di coloro che avevano parenti all’ospedale”, così come “di alcuni sacerdoti che generosissimamente si sono prestati a stare, anche tutta la giornata, davanti al cimitero”, dove arrivavano bare senza parenti o conoscenti al seguito, monsignor Lovignana ha auspicato che questa esperienza “meriterebbe di essere ulteriormente elaborata”. Purtroppo, “le conseguenze, sul piano sociale già le abbiamo percepite, ma sul piano psicologico, spirituale, morale, per un po’ di anni ancora dovremmo lavorarci, perché le persone sono state ferite in profondità”.