Adele Squillaci resta Difensora civica della Valle d’Aosta. Dopo aver concesso alla Regione, nello scorso agosto, la sospensiva della sentenza del Tar della Valle d’Aosta che aveva annullato la nomina, il Consiglio di Stato, a seguito dell’udienza del 15 dicembre 2022, ha ora deciso nel merito, accogliendo Il ricorso di piazza Deffeyes. Si chiude così una controversia accesasi all’indomani dell’elezione, avvenuta da parte del Consiglio Valle il 12 gennaio 2022.
Le origini del contenzioso
A impugnare quella decisione erano stati due partecipanti all’avviso di nomina, il commercialista di Charvensod Francesco Pietro Cordone e l’avvocato aostano Marco Bertignono, uniti nel sollevare un presunto difetto di motivazione dell’atto consiliare. Il Tribunale Amministrativo Regionale, nella scorsa estate, aveva dato loro ragione “cancellando” l’elezione. L’amministrazione regionale ha però riproposto la questione dinanzi al Consiglio di Stato e la sentenza, che rovescia l’esito del primo grado di giudizio, è stata pubblicata oggi, martedì 17 gennaio.
La tesi dell’ente, sostenuta attraverso l’avvocato Francesco Saverio Marini, era che, ”in base alla disciplina regionale, il rapporto che intercorre tra il difensore civico e l’assemblea legislativa chiamata a eleggerlo è eminentemente di natura fiduciaria, e la nomina (l’elezione) ha natura ‘latu sensu’ politica”. Ne consegue, secondo la Regione, che al procedimento fosse “estranea, strutturalmente e ontologicamente, la valutazione comparativa richiesta dal Tar, come pure, in assoluto, la stessa motivazione in ordine alla scelta”.
La sentenza
Nel motivare la sua decisione, il collegio della quinta sezione del Consiglio, presieduto da Francesco Caringella, richiama anzitutto un precedente verdetto per cui “non occorre tuttavia una rigorosa comparazione tra i requisiti dei singoli candidati, con conseguente motivazione puntuale e specifica”. Al riguardo, osservano i giudici, “il Tar sembra aver colto la corretta soglia motivazionale, ma poi” ha ritenuto che non vi fosse stata “né una lettura dei curricula dei candidati, né una esplicitazione dei relativi profili processionali”, né infine “l’esternazione di una qualche motivazione in ordine alle ragioni che avrebbero deposto a favore” della nomina di Squillaci.
Il Consiglio di Stato “è invece dell’avviso che la (ridotta) soglia motivazione aderente al caso in esame sia stata rispettata”. Giudizio ricavato soprattutto dall’analisi del resoconto della seduta consiliare in cui ha avuto luogo l’elezione. In particolare, “che un esame della considerazione nel merito dei curricula sia concretamente avvenuto risulta dall’intervento del consigliere Marguerettaz”. Intervenendo a nome della maggioranza consiliare, questi enfatizzò “l’esperienza di lavoro specifica della ricorrente, per anni svolta proprio presso l’ufficio del difensore civico”.
A tale proposta, annotano i giudici, “ha aderito poi anche un altro gruppo consiliare, di opposizione, per il quale ha preso la parola il consigliere Sammaritani”. “E’ dunque evidente – si legge nella sentenza – che una valutazione dei candidati vi sia stata”, posto che “la ragione della scelta è stata ricondotta all’esperienza professionale ‘interna’ all’ufficio, specificamente vantata dalla dottoressa Squillaci” e “ritenuta – a torto o a ragione, ma tale profilo, ovviamente, non assume in questa sede alcuna rilevanza – elemento preferenziale”.
Il commento del presidente Bertin
Sulla sentenza ha preso posizione il presidente del Consiglio Valle, Alberto Bertin. “Il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del TAR – ha dichiarato -, confermando la bontà dell’azione svolta dal Consiglio regionale nelle procedure di elezione della dottoressa Squillaci. In particolare, il Consiglio di Stato ha riconosciuto che, avendo tale elezione carattere fiduciario e svolgendosi a maggioranza qualificata e con voto segreto, la deliberazione consiliare del 12 gennaio 2022 risulta sufficientemente motivata e contiene una valutazione comparativa tra i candidati, come espresso in sede consiliare e riportato nel resoconto della seduta”.
Una risposta
“Ricordate le parole immortali di Socrate nel carcere di Atene? Parla delle leggi come di persone vive, come di persone di conoscenza. «le nostre leggi, sono le nostre leggi che parlano». Perché le leggi della città possano parlare alle nostre coscienze, bisogna che siano come quelle di Socrate, le «nostre» leggi. Nelle più perfette democrazie europee, in Inghilterra, in Svizzera, in Scandinavia, il popolo rispetta le leggi perché ne è partecipe e fiero; ogni cittadino le osserva perché sa che tutti le osservano: non c’è una doppia interpretazione della legge, una per i ricchi e una per i poveri. Ma questa è, appunto, la maledizione secolare che grava sull’Italia: il popolo non ha fiducia nelle leggi perché non è convinto che queste siano le sue leggi. Ha sempre sentito lo Stato come un nemico.
Lo Stato rappresenta agli occhi della povera gente la dominazione. Può cambiare il signore che domina, ma la signoria resta: dello straniero, della nobiltà, dei grandi capitalisti, della burocrazia. Finora lo Stato non è mai apparso alla povera gente come lo Stato del popolo. Da secoli i poveri hanno il sentimento che le leggi siano per loro una beffa dei ricchi: hanno della legalità e della giustizia un’idea terrificante, come di un mostruoso meccanismo ostile fatto per schiacciarli, come di un labirinto di tranelli burocratici predisposti per gabbare il povero e per soffocare sotto le carte incomprensibili tutti i suoi giusti reclami.“
Piero Calamandrei – tratto da articoli della rivista Il Ponte giugno 1950.