E’ stata caratterizzata dalle testimonianze della madre e del padre di Valentina Chapellu, la bimba di 17 mesi morta il 17 febbraio 2020 all’ospedale torinese Regina Margherita, l’udienza con cui si è aperto oggi, martedì 25 ottobre, dinanzi al giudice monocratico Marco Tornatore il processo nei confronti del pediatra Marco Aicardi (38 anni, Verrayes), accusato di omicidio colposo. La piccola era stata trasferita al nosocomio torinese in condizioni disperate, dopo quattro visite al “Beauregard” di Aosta, e l’imputato è il medico che la aveva vista ventiquattr’ore prima che la situazione precipitasse.
Secondo quanto ricostruito in aula dal sostituto commissario di Polizia occupatosi degli accertamenti, la piccola viene portata la prima volta in ospedale il 16 gennaio di due anni fa, perché “aveva la febbre che continuava a salire, non respirava bene”. Seguono le dimissioni in codice bianco, ma la temperatura non scende, quindi gli accessi al pronto soccorso pediatrico si susseguono: il 5, il 6 e l’11 febbraio. In quest’ultima occasione – ha raccontato la madre della piccola, Suely De Souza Pereira – il medico in turno è l’imputato.
“Il dottore non mi rispondeva”
“Il dottore era una persona fredda, non mi rispondeva. – ha affermato la donna, con la voce spesso rotta dalla commozione – Ha detto che era una influenza, di dare la Tachipirina. Ero disperata, ho detto: ‘chiamo i Carabinieri’”. La madre, dopo che viene praticato un aerosol alla piccola, arriva anche a chiedere di ricoverare la figlia, “ma lui ha detto: ‘è una influenza’” e Valentina viene nuovamente dimessa.
Il giorno dopo – ha ricordato il padre Yves Chapellu, rispondendo alle domande del pm Francesco Pizzato – “la bimba faceva ancora più fatica a respirare. Tanto è vero che verso sera abbiamo deciso di portarla in ospedale chiamando l’ambulanza, perché si vedeva che andava male”. L’uomo compone il 118 e, ricevuta conferma dell’invio di un mezzo di soccorso, “dopo qualche istante vedo uscire mia moglie dal bagno, la bimba era cianotica, stava svenendo”.
I primi soccorsi del padre
La situazione si fa difficile, anche per lo choc che assale la madre, e Chapellu chiede aiuto ad un vicino di casa. “La bambina era sdraiata sul tavolo, era in affanno”, ha ripercorso quest’ultimo dinanzi al giudice, spiegando che il padre “stava facendo il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca”. L’ambulanza arriva e la piccola viene trasportata al “Beauregard”. La pediatra in turno, realizzate le condizioni della paziente, chiama in supporto il medico rianimatore in servizio al reparto di ostetricia, altro testimone dell’udienza odierna.
“Quando l’ho vista – ha detto – mi sono resa conto che la situazione era davvero molto critica. Riconosceva la mamma, ma solo a tratti. Ho provato a ventilare in maniera non invasiva, ma non riprendeva una respirazione adeguata”. Sulla piccola si era verificato – stando alla deposizione del rianimatore – “un broncospasmo importantissimo: anche una volta intubata, i polmoni restavano chiusi”. “Sono riusciti a stabilizzarla – ha continuato a ricordare il padre – e la hanno trasportata al ‘Parini’”.
Il trasferimento a Torino
Da lì, la decisione del trasferimento al “Regina Margherita” di Torino, in ambulanza. Al nosocomio torinese, “siamo stati accolti da una dottoressa che ci ha detto che, avendo avuto un arresto cardiaco, le condizioni” di Valentina “erano difficili, per cui soltanto il tempo ci avrebbe detto la verità”. La piccola morirà cinque giorni dopo per – il dato è emerso dalla perizia svolta in incidente probatorio – “una grave complicanza batterica dell’influenza tipo A”.
“Possibilità di superare la malattia”
Nello stesso esame, i consulenti del giudice osservano che “se Valentina fosse stata ricoverata il giorno 11 febbraio al fine di eseguire gli esami clinici appropriati” e “di supportarla nelle evidenti difficoltà cliniche che manifestava”, avrebbe “avuto delle possibilità” (seppur “difficili da definire in termini numerici”) di “superare la malattia, anche se una complicanza batterica così grave può avere un andamento rapidamente ingravescente nonostante tutto”.
La perizia dà tuttavia atto del fatto che “non si può attribuire al dottor Aicardi una responsabilità connotata da gravità della colpa”, perché la “drammaticità dell’andamento della malattia che ha colpito” la bimba “non era prevedibile indipendentemente dai comportamenti assunti”. Da qui, la scelta della Procura di chiedere il giudizio per l’imputato (che, in sede di udienza preliminare non ha aderito a riti alternativi, nella logica di approfondire a dibattimento alcuni aspetti tecnici delle perizie svolte nelle indagini), citando inoltre – quale responsabile civile – l’azienda Usl.
La proposta di conciliazione
Proprio il legale di quest’ultima, in apertura dell’udienza, ha avanzato ai parenti della bambina una proposta conciliativa, per un totale di 600mila di euro. L’accordo non presenta carattere di riconoscimento di responsabilità da parte dell’azienda e, qualora accettato, implicherebbe la “tacitazione di ogni pretesa” dei familiari e la loro “rinuncia ad ogni iniziativa” in sede penale e civile. I legali delle parti si sono riservati la valutazione sulla congruità dell’importo. Il processo riprenderà il 22 novembre per ascoltare altri testimoni citati dall’accusa, dalla parte civile e dalla difesa dell’imputato.