Specialista in materia di crimine organizzato, 53 anni di Besançon (nella Francia orientale, a 60 km dalla Svizzera), Fabrice Rizzoli è docente di geopolitica delle mafie a Sciences Po, l’istituto di studi politici di Parigi. Fondatore e Presidente dell’associazione Crim’Halt, ricercatore del “Centre Français de Recherche sur le Renseignement” e già consulente della Commissione europea, nonché incaricato di missione all’Osservatorio milanese sulla criminalità organizzata (Omicron), è autore di numerosi saggi e libri sul tema.
Ad Aosta per la conferenza dell’Osservatorio regionale permanente sulla legalità e sulle organizzazioni criminali e di stampo mafioso (dove ha dedicato il suo intervento alle vittime innocenti delle mafie, perché “voi italiani ci avete insegnato a difendere la loro memoria”), ha accettato di buon grado di rispondere, in un italiano non scontato, ad alcune domande sull’evoluzione più recente dei clan.
La ragnatela delle organizzazioni criminali attorno al mondo è ormai talmente ampia ed avvolgente che si può parlare di una geopolitica delle mafie…
Io insegno la geopolitica delle mafie perché è utile per spiegare una cosa. Le organizzazioni criminali sono molto transnazionali. Ovviamente, la droga è fatta nell’emisfero sud del mondo e la consumiamo nell’emisfero nord, per dire. Però non dimenticate che, se le organizzazioni criminali sono forti a fare la logistica, a prendere la roba da un punto A e portarla a un punto B, è perché sono forti nel loro territorio. Dunque non dimenticate il fatto che un cartello messicano può mandare la cocaina negli Stati Uniti perché comanda a casa sua. Non dimenticate che la mafia calabrese è a Duisburg, in Francia, in Australia, però comandano a casa loro. C’è, ad esempio, il porto di Gioia Tauro per far arrivare la cocaina e poi mandarla con i camion a Roma nelle discoteche.
Ci sono rapporti tra le organizzazioni criminali che sono anche cambiati nel tempo. Alcune mafie, nei loro Paesi, “subappaltano” dei compiti ad organizzazioni di altri Stati…
L’Italia è un Paese incredibile nell’antimafia, nel senso che ha tanta conoscenza, tanto sapere sul fenomeno. Ad esempio, se si guarda l’Italia si sa che la mafia calabrese non vuole fare la prostituzione, neanche Cosa Nostra siciliana vuole farla, però a Milano, dove comandano, i calabresi hanno detto agli albanesi trent’anni fa “voi potete fare la prostituzione”. Analogamente, la Camorra ha detto lo stesso ai nigeriani e “poi voi mi date qualcosa, o se ho bisogno di cocaina che viene dalla Nigeria facciamo lo scambio”. Questo l’abbiamo imparato dagli italiani. Non in tutti i Paesi si fa questa forma di subappalto. Dipende anche dal livello di potenza dell’organizzazione criminale, ovviamente. Però, ad esempio, se pensiamo all’America latina, uno dei cartelli messicani ha tanta manodopera e quindi c’è poco subappalto.
Il contrasto è complicato. Non tutti i Paesi hanno le stesse norme e alcuni sono dei paradisi per le mafie, per esempio quelli che non hanno limiti all’uso del contante….
Come la Germania. Là, se tu fai una frode fiscale puoi andare in prigione, è grave non pagare le tasse. Però il riciclaggio non è un problema. I soldi sporchi vanno nell’economia legale, loro fanno pochi controlli. Questo è un grosso problema, ma non c’è solo la Germania. La Svizzera ha paradisi bancari, in Francia è facile investire nelle società immobiliari senza conoscere facilmente il vero proprietario. Anche in Inghilterra non si cercano i soldi sporchi, pure negli Stati Uniti c’è un’ipocrisia incredibile. Lo stato del Delaware è fatto per avere società con capitali senza verifiche sulla provenienza. Il Delaware è fatto per il riciclaggio. Anche per un paese come l’Italia, che ha i migliori strumenti al mondo per lottare contro la mafia (il reato di associazione mafiosa, la confisca, i pentiti, eccetera…), se le organizzazioni possono continuare a vendere droga e poi mettere i soldi in Lussemburgo, un po’ in Francia e un po’ nel Delaware, ovviamente diventa complicato.
Peraltro, le indagini ci dicono che, con gli strumenti più moderni come le criptovalute, le mafie riescono a muovere tonnellate di stupefacente stando su un divano.
La cybercriminalità può aiutare molto le mafie. Non dimenticate comunque che, alla fine, la vendita si deve fare ancora con il contante, sul territorio, per strada. Ovviamente ci sono altri circuiti, però il grosso della massa ancora passa per queste modalità. Sul divano c’è qualcuno dell’organizzazione che se ne occupa. Però, l’organizzazione ha bisogno anche di avere contatti in Colombia, in Messico, di fare arrivare la cocaina. La droga continua ad arrivare nei porti, ad esempio italiani o francesi. C’è ancora le divisione, nella vendita di cocaina: “tu prima hai preso 200.000, tu hai preso 300.000”. C’è ancora il territorio, secondo me.
Concludo con una domanda che riguarda la comunità. Dal locale al globale, il fenomeno ha assunto questa dimensione ormai, ma come può un cittadino cercare di rimanere vigile?
Deve pagare le sue tasse, deve leggere. Io credo molto a ciò che ha inventato l’Italia: l’uso sociale dei beni confiscati. Alla conferenza di oggi c’è un rappresentante della DIA. Io sono un cittadino e solo lui ha diritto di fare degli arresti, far andare in carcere le persone, sotto la responsabilità del magistrato ovviamente. Io non ne ho il potere e questo non deve mai cambiare. Il legame tra questa persona delle forze dell’ordine e me è fare una bella conferenza. Qui verrà la gente che è già convinta. La sola maniera di implicare, di coinvolgere i cittadini, è di metterli in gestione dei beni confiscati.
Per quello noi, ad esempio, abbiamo ottenuto la legge in Francia, molto restrittiva in paragone a quella italiana. Da quello che ho imparato, con questa e altre misure (la collaborazione dei pentiti, il reato di associazione mafiosa, la confisca e il carcere), quando si va a Casal di Principe, se prima negli anni ’80 c’era un omicidio al giorno, la casa sequestrata alla famiglia Coppola, dei sicari, oggi è la casa Don Diana. Cambia tutto, sul territorio. I giovani fanno le attività extrascolastiche dentro questa casa. Prima, i vicini non volevano entrare dentro la casa della famiglia Coppola, non volevano nemmeno dare l’acqua al Comitato Don Diana per pulire. Oggi i vicini entrano, portano i bambini. Questo è rivoluzionario.
Le mafie? Non sparano più, oggi è l’economia il modo in cui controllano il territorio
17 Dicembre 2024 – Ore 10.19
“Non ci serve sparare, l’F24 è il nostro Kalashnikov”. Sono le parole di un boss, che fotografano meglio di qualsiasi descrizione l’evoluzione delle mafie. Da organizzazioni violente, che avevano nella forza lo strumento di controllo del territorio, ad agenzie multiservizi, capaci di aggredire l’economia (anche quella legale). A riportare quella frase, nel corso di una conferenza ad Aosta nella serata di ieri, lunedì 16 dicembre, il capo centro di Torino della Direzione Investigativa Antimafia, Tommaso Pastore.
L’incontro, promosso dalla Presidenza del Consiglio Valle nell’ambito delle iniziative dell’Osservatorio permanente sulla legalità e sulle organizzazioni criminali e di stampo mafioso, moderato dalla giornalista Cristina Porta, aveva per tema appunto “Da locale a globale, geopolitica delle mafie”. Ricordando che la Dia lavora sull’aspetto di prevenzione, partendo dai dati oggettivi (e, in Valle d’Aosta, una sentenza passata in giudicato, “cristallizza la presenza sul territorio di un locale di ‘Ndrangheta”), il dirigente Pastore ha ricordato le modalità in cui le mafie puntano a gestire economicamente i territori.
Di norma avviene “proponendo a imprenditori, ma anche al mondo economico (e politico), un guadagno in tempi veloci, attraverso alcuni strumenti”. Parliamo, soprattutto, del recupero crediti. “A quel punto, – ha continuato il Capo centro – l’imprenditore che non ha solidità etica, ma anche economica, può abbassarsi a questo richiamo”. L’avvicinamento dei clan al sistema economico non è “finalizzato ad evadere il fisco, ma ad incentivare il riciclaggio”. L’“effetto collaterale” è che l’imprenditore che si avvicina a questo meccanismo “si trova controllato dalle organizzazioni criminali. Si passa dall’imprenditore corrotto a quello colluso”.
I dati che testimoniano l’evoluzione del fenomeno mafioso sono stati ripresi dall’altro oratore della serata, Fabrice Rizzoli, docente di geopolitica delle criminalità a Sciences Po, istituto di studi politici di Parigi. Dal 2009, il volume d’affari delle organizzazioni criminali nel mondo è stato stimato in 870 miliardi di euro, di cui 300 miliardi legati al traffico di droga. La produzione di cocaina in Colombia, nel giro di 10 anni, è raddoppiata e “la corruzione è ovunque, è molto aumentata”. Quanto al riciclaggio, è stato ricostruito che una banca americana ha “lavato” 378 miliardi in tre anni per conto dei cartelli messicani.
La violenza, tuttavia, ha spiegato Rizzoli, non è un’opzione abbandonata. Si valutano, nell’arco di tempo dal 2002 al 2017, 89mila vittime del crimine organizzato. “Quasi quante ne hanno fatte tutti i conflitti del mondo messi assieme”, ha osservato amaramente il docente. A ciò si aggiunge che, nel 2023, i cartelli americani hanno ammazzato 17 giornalisti. A fronte di un fenomeno in grado di adattarsi a tempi e contesti (non mancano ormai, nell’arsenale delle organizzazioni criminali, hackers per sfruttare tecnologie di comunicazione criptate e criptovalute, e consulenti finanziari), “è necessario – ha sottolineato Pastore – adeguarsi al cambiamento delle mafie, sia in termini di sensibilità, sia per quanto riguarda le tecniche di contrasto”.
Dal punto di vista del tessuto sociale, è il parere del Capocentro di Torino della Dia, “le associazioni sono un momento fondamentale, gli incontri come questo cercano di stabilire la sensibilità giusta”. Sul piano delle tecniche di contrasto, invece, il patrimonio di conoscenze accumulato dagli investigatori italiani, non solo con le indagini, ma anche grazie ai collaboratori di giustizia, è significativo. La sfida diventa quindi una “internalizzazione del contrasto”, attraverso il coordinamento con le altre forze di Polizia europee. Sull’attenzione al tema, in apertura dell’incontro, il presidente del Consiglio Alberto Bertin, aveva ricordato che “la lotta alle mafie ci riguarda tutti, senza distinzione. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia, ognuno di noi, nel suo piccolo”.