“La discarica di Pompiod non deve essere riaperta”. A dirlo, in una nota, Valle Virtuosa e Legambiente Valle d’Aosta che “chiedono con fermezza la revoca di tutti gli atti amministrativi di concessione e rinnovo relativi alla gestione della discarica di rifiuti speciali inerti di Pompiod, nonché la sua bonifica e chiusura definitiva”.
Le due associazioni ambientaliste spiegano: “Numerose criticità sono emerse in fase processuale (molte delle quali ad oggi irrisolte), dalle irregolarità amministrative a quelle gestionali, che potrebbero arrecare potenzialmente gravi danni per l’ambiente e la salute pubblica, e a nostro parere in contrasto con le normative nazionali ed europee violando i normali criteri di prudenza in materia”.
Diverse le ragioni che impedirebbero la riapertura della discarica e che Valle Virtuosa e Legambiente mettono in fila: dal mancato aggiornamento della Valutazione di Impatto Ambientale (la cosiddetta “Via”), al mancato rispetto dei criteri di ammissibilità per rifiuti inerti passando per il contrasto con il Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti che “prevede solo impianti per materiali inerti da demolizione e costruzione, escludendo rifiuti speciali”.
A questo, le associazioni aggiungono la non conformità ai criteri costruttivi, l’inadeguata distanza dall’abitato e dall’area agricola, la presenza di una barriera di confinamento insufficiente, ma anche la carenza di indagini geotecniche e rischio di instabilità, un controllo insufficiente delle polveri, il monitoraggio inadeguato delle acque sotterranee che si uniscono ai conferimenti illegittimi accertati dalla Procura.
“La Procura ha contestato smaltimenti illeciti effettuati dal giugno 2018 (anno di riapertura della discarica) fino all’agosto 2019 – si legge ancora –. Dalle verifiche, inclusa una consulenza tecnica per la caratterizzazione dei rifiuti, sono stati riscontrati conferimenti non autorizzati, tra cui: 346,68 tonnellate di terre e rocce da scavo contaminate da mercurio; 193,49 tonnellate di scorie di fusione con antimonio e indice fenolo superiori ai limiti autorizzativi; 659,20 tonnellate di pietrisco per massicciate ferroviarie contenente fibre di amianto crisotilo; 312,76 tonnellate di scorie non trattate con valori di pH tali da rendere il rifiuto pericoloso; 1.765,50 tonnellate di rifiuti da dissabbiamento con idrocarburi pesanti e oli minerali oltre i limiti consentiti; 205,08 tonnellate di pietrisco ferroviario contenente amianto”.
Elementi ai quali si aggiungono – dicono sempre le due associazioni – disagi per la popolazione, una incompatibilità con gli obiettivi turistici della zona e con le nuove normative in materia di rifiuti inerti.
Una gestione poco trasparente dei rifiuti inerti
“Lo studio commissionato dalla Regione all’Arpa, che suggerisce la necessità di riaprire Pompiod, presenta diverse lacune – spiegano ancora Valle Virtuosa e Legambiente –. Ad esempio, le stime sulla durata residua delle discariche non tengono conto del tasso di riciclo degli inerti, già al 74 per cento in Valle d’Aosta. Ciò implica che solo il 26 per cento dei rifiuti inerti dovrebbe effettivamente essere smaltito in discarica”.
Di conseguenza, “una semplice proporzione mostra che la durata residua delle discariche risulterebbe circa quattro volte superiore rispetto a quanto stimato nello studio Arpa. Nonostante ciò, ‘per sicurezza’, nell’eventualità della realizzazione di grandi opere, Arpa ha ipotizzato anche un fabbisogno di smaltimento pari al doppio della quantità media di rifiuti prodotti tra il 2013 e il 2021. Si tratta di stime evidentemente poco attendibili, che gonfiano il fabbisogno di nuove discariche, giustificando in modo improprio la necessità di riaprire Pompiod”.
Per questo – si legge infine nella nota – “Valle Virtuosa e Legambiente VdA non escludono di adire alle vie legali per impedire la terza riapertura della discarica di Pompiod. Questa insistenza nel voler riaprire la discarica solleva dubbi sulla reale tutela degli interessi della comunità e dell’ambiente”. Con le associazioni che si dicono “pronte a considerare ogni azione legale necessaria, inclusi ricorsi al Consiglio di Stato, per garantire che il diritto alla salute pubblica e alla protezione ambientale vengano rispettati”.