Bimba morta dopo le visite, pediatra rinviato a giudizio
Si è conclusa oggi, mercoledì 22 giugno, con il rinvio a giudizio dell’unico imputato, il pediatra Marco Aicardi (38 anni, Verrayes), l’udienza preliminare sulla morte di Valentina Chapellu, la bimba di 17 mesi deceduta il 17 febbraio 2020 all’ospedale torinese Regina Margherita, dov’era stata trasferita dopo quattro visite al “Beauregard” di Aosta. Il medico non ha chiesto riti alternativi al Gup Davide Paladino e affronterà il processo per omicidio colposo dal prossimo 25 ottobre al Tribunale di Aosta.
Una scelta difensiva (il pediatra è rappresentato dall’avvocato Gino Obert di Torino) effettuata nella logica di approfondire nel dibattimento, visto il procedimento legato ad aspetti di presunta colpa medica, alcuni aspetti tecnici delle perizie svolte durante le indagini. L’imputato è il medico che ha visitato la bambina in occasione dell’accesso dell’11 febbraio 2020, ventiquattr’ore prima che la situazione precipitasse. Il fascicolo è affidato al pm Francesco Pizzato.
Due richieste di archiviazione
Le indagini preliminari si erano chiuse alla fine dello scorso gennaio. Per le altre due pediatre che erano state iscritte nel registro degli indagati, Adriana Bobbio di Sarre e Catherine Bertone di Aosta, che l’avevano visitata in occasioni precedenti, la Procura aveva avanzato al Gip richiesta di archiviazione delle rispettive posizioni, non ravvisando loro responsabilità e quindi non intendendo esercitare l’azione penale. La decisione del pubblico ministero era stata conseguente a quanto emerso dalla consulenza tecnica discussa, a conclusione dell’incidente probatorio chiesto dall’ufficio inquirente, lo scorso 16 dicembre dinanzi al Gip Giuseppe Colazingari.
I contenuti della perizia
L’esame, svolto dal medico legale Cinzia Immormino e dal direttore della pediatria d’urgenza della “Città della Salute e della Scienza” di Torino Antonio Francesco Urbino, era seguito ad altre due consulenze svolte in precedenza dagli inquirenti, apparse non esaustive rispetto alla valutazione delle condotte dei medici. Secondo i periti del Tribunale, pur “non potendo attribuire pienamente” una “diretta conseguenza tra l’operato dei sanitari che l’hanno avuta in cura” e la morte della bambina, sussistono “chiari profili di colpa, determinati da negligenza e imprudenza” nell’“operato del medico che ebbe a visitare” Valentina nell’accesso ospedaliero dell’11 febbraio 2020.
La sera dopo, il 12, la piccola venne soccorsa a casa in ambulanza e, dopo un arresto cardiaco al “Beauregard” fu trasferita prima al “Parini”, quindi al Regina Margherita di Torino, dove arrivò già in coma e, giorni dopo, spirò per – altro dato emerso dalla perizia – “una grave complicanza batterica dell’influenza tipo A”. Nella relazione conclusiva dell’esame, i consulenti del giudice osservano che “se Valentina fosse stata ricoverata il giorno 11 febbraio al fine di eseguire gli esami clinici appropriati” e “di supportarla nelle evidenti difficoltà cliniche che manifestava”, avrebbe “avuto delle possibilità” (seppur “difficili da definire in termini numerici”) di “superare la malattia, anche se una complicanza batterica così grave può avere un andamento rapidamente ingravescente nonostante tutto”.
Niente “gravità della colpa”
La perizia dà tuttavia atto del fatto che “non si può attribuire al dottor Aicardi una responsabilità connotata da gravità della colpa”, perché la “drammaticità dell’andamento della malattia che ha colpito” la bimba “non era prevedibile indipendentemente dai comportamenti assunti”. Sempre nella lettura dei periti Immormino e Urbino, è “molto probabile che al momento della visita effettuata dalla dottoressa Bobbio e dalla dottoressa Bertone”, prima dell’11 febbraio, fosse “affetta da influenza di tipo A, peraltro non ancora complicata dalla sovrainfezione batterica polmonare che è stata la causa del decesso di Valentina”. Da qui, la scelta di chiedere, per le due pediatre, l’archiviazione delle posizioni.
Nessuna criticità nel trasporto negli ospedali
Le indagini (e la consulenza) hanno preso in esame anche l’urgenza del 12 febbraio di sottoporre la piccola a cure tempestive, senza ravvisare “criticità nello svolgimento dei fatti”, compreso “il trasporto nei vari ospedali effettuato da quel momento in poi”. La madre della piccola si è costituita parte civile nel procedimento, mentre il padre, per parte sua, ha scelto invece di avanzare in sede civile la pretesa risarcitoria nei confronti dell’Usl. Ad essere chiamata in causa, per la responsabilità civile nei fatti, una compagnia assicurativa.