Corruzione, i soci Edilvu condannati a 7 anni di carcere ognuno

Si è chiuso oggi, mercoledì 2 marzo, il processo a carico di Loreno e Ivan Vuillermin e Renza Dondeynaz, accusati di aver pagato l’allora funzionario Fabio Chiavazza per “pilotare” a loro favore incarichi e gare del comune di Valtournenche.
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Cronaca

Dopo l’ex capo ufficio tecnico del comune di Valtournenche Fabio Chiavazza (giudicato in abbreviato l’estate scorsa), anche per i soci dell’impresa edile accusati di avergli versato delle tangenti per “pilotare” a loro favore incarichi e gare dell’ente il processo di primo grado si chiude con una condanna. Il Tribunale di Aosta ha inflitto oggi, mercoledì 2 marzo 2022, 7 anni di reclusione a Loreno Vuillermin, Ivan Vuillermin e Renza Dondeynaz, contitolari della “Edilvu”. La sentenza del secondo ramo processuale nato dall’inchiesta “Do Ut Des” dei Carabinieri è arrivata dopo circa cinque ore di camera di consiglio del collegio presieduto da Eugenio Gramola, con Marco Tornatore e Maurizio D’Abrusco quali giudici a latere.

Il pm Luca Ceccanti, nella requisitoria tenuta in mattinata, aveva invocato una pena di 7 anni per ognuno. Il verdetto include diverse interdizioni per le persone a giudizio (tra le quali, dai pubblici uffici in perpetuo e l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per 5 anni), oltre alla confisca di 295mila euro a carico degli imputati, somma oggetto di sequestro preventivo nelle indagini, perché d’importo pari ai lavori che, stando all’inchiesta, i tre si erano aggiudicati indebitamente. Il comune di Valtournenche si era costituito parte civile nel procedimento: i giudici hanno stabilito una provvisionale di 20mila euro, con l’ammontare complessivo del danno da risarcire, da quantificarsi in sede civile.

Le arringhe delle difese

I difensori, nelle loro arringhe, avevano puntato a dimostrare come gli atti comunali al centro delle contestazioni agli imputati recassero, comunque, il visto di regolarità contabile e fossero stati riconosciuti come legittimi anche dai testimoni d’accusa (fra tutti, l’allora segretaria comunale Cristina Machet). Hanno quindi tratteggiato, nel ricostruire i tre affidamenti al centro delle principali accuse, una sorta di condizionamento dell’inchiesta generato dalla figura di Chiavazza: “ne avrà fatta una più di Bertoldo? – si è chiesto uno dei legali – Può darsi, ma non negli appalti che sono stati affidati alla Edilvu”.

Eppure, “il leit motiv dell’indagine”, secondo un avvocato, è stato “Gatta ci cova, perché l’ha fatto Chiavazza”. Così, nell’impostazione accusatoria, le somme “accantonate” dall’allora funzionario comunale nei provvedimenti contestati, ufficialmente per riconoscere “migliorie” eseguite dall’aggiudicatario, sono state indicate dalla Procura come l’espediente per far ottenere agli imprenditori suoi sodali un importo complessivo superiore a quello da loro proposto in sede di offerta, ma si trattava – è stata la tesi corale dei difensori – di cifre trattenute “prudenzialmente, dopodiché a volte le dava, altre non le dava, altre ancora le dava parzialmente”.

Sostenuta la legittimità delle gare e degli affidamenti, gli avvocati hanno obiettato anche sulle intercettazioni svolte nell’inchiesta, prodotte dalla pubblica accusa perché ritenute eloquenti dei reati ipotizzati. “Ci dimostrano un rapporto stretto, un rapporto di amicizia. – ha osservato un legale – Ci saremmo aspettati riferimenti all’accordo corruttivo, a programmi futuri, a cose tipo ‘faremo un lavoro, vedrai che ci mettiamo d’accordo…’. Zero”. “Allora, – è proseguita l’arringa – la prova di questo patto corruttivo su cosa poggia?”. Argomenti che, alla luce della sentenza, non hanno convinto i giudici. Le motivazioni della decisione odierna saranno depositate entro 75 giorni.

Il processo

Iniziato lo scorso 6 ottobre, il processo con rito ordinario (che non consente di fruire dello “sconto” di un terzo della pena, previsto dall’abbreviato) ha visto sfilare in aula diversi testimoni. Esauriti quelli citati dal pubblico ministero (e della parte civile), si è continuato con quelli dei team difensivi, chiamati a deporre nel tentativo di “smontare” le imputazioni di aver pagato Chiavazza per “addomesticare” a favore dell’impresa degli incarichi e gare dell’ente locale.

“Pressioni da Chiavazza? No”

Nei capi d’imputazione ne sono finiti almeno tre, dal 2016 in poi: per la manutenzione della strada “Fiscada”, per il restauro di una fontana in località Pecou e per il potenziamento dell’acquedotto di Cervinia. Al riguardo, un libero professionista già componente della commissione che ha aggiudicato l’ultima opera, ha escluso di aver ricevuto pressioni o indirizzamenti da parte di Chiavazza (presente alle sedute quale verbalizzante), ricordando poi come la penalizzazione di un’altra ditta partecipante fosse legata alla presentazione di “una miglioria che costituiva una variante”, per cui “avevamo discusso a lungo come valutarla” e “avevo suggerito anche” un consulto con un legale esperto in appalti.

“I termini degli appalti? Non ampi”

Rispetto a quanto raccontato, nell’udienza precedente, da un sottufficiale della Compagnia Carabinieri di Châtillon/Saint-Vincent che ha lavorato alle indagini (secondo il quale uno degli stratagemmi cui faceva ricorso Chiavazza era stabilire scadenze molto ravvicinate per le richieste di preventivo inviate per i lavori con possibilità di affidamento diretto), una difesa degli imputati ha chiamato a deporre l’allora impiegata della ditta, incaricata della preparazione della documentazione amministrativa per gli appalti.

A domanda specifica, la donna ha sottolineato che abitualmente “i termini non sono molto ampi” e “ultimamente si sono anche accorciati”. Ne vengono concessi di “più ampi” per le gare indette con il criterio dell’“offerta economicamente più vantaggiosa”, ma – ad esempio, guardando alla sua esperienza attuale – “venerdì scorso ne è arrivata una che scade giovedì prossimo”. Al pm Ceccanti, che ha chiesto se tutti e tre i soci interloquissero con lei sull’amministrazione dell’azienda, l’impiegata ha affermato di sì, mentre delle gare si occupava “di più Ivan” Vuillermin.

Le presunte fatture false

E’ quindi stato il turno del consulente fiscale “storico” della Edilvu (“da una trentina d’anni…”), sottoposto dai avvocati difensori a domande sulle due fatture – emesse da una società cui partecipava Chiavazza – che l’accusa sostiene essere relative ad operazioni fittizie. Quei documenti contabili sarebbero stati, nella ricostruzione della Procura, il “paravento” che ha reso possibile, nella legalità formale, il versamento delle tangenti (a quel punto, possibile attraverso più bonifici) dagli imprenditori al funzionario pubblico.

Una delle due fatture, relativa all’acquisto di materiali, è stata “inserita in contabilità, includendo i cespiti nell’apposito registro”, di cui “è sufficiente estrarre copia”. L’altra, riferita a lavori edili su alcuni cantieri a Champdepraz nel 2014, è stata “contabilizzata normalmente”, entrando “a pieno diritto nel bilancio 2017”. Quel costo, però, essendo relativo ad un diverso esercizio da quello di emissione del documento – ha ripercorso il libero professionista – “è stato ripreso a tassazione”, secondo una valutazione fatta dallo studio contabile “per Edilvu, come per tutte le altre aziende” (un teste d’accusa aveva evidenziato la mancata deduzione, da parte dell’impresa, dell’onere fiscale su quei lavori).

“Mi si chiese di fatturare a Chiavazza”

Il commercialista ha quindi spiegato che, negli anni cui si riferiscono le imputazioni, l’impresa fatturava “2-3 milioni di euro, direi”, ma alla richiesta del presidente del collegio giudicante Eugenio Gramola (giudici a latere Marco Tornatore e Maurizio D’Abrusco) ha detto di non ricordare chi, in azienda, avesse il potere di disporre dei bonifici. L’ultimo testimone, l’amministratore di un magazzino edile, ha poi rivelato un dettaglio: rispetto a una vendita di materiale alla Edilvu, con destinazione Champdepraz, in un primo tempo uno degli imputati “passò da me, chiedendo se si poteva fatturare all’impresa del geometra Chiavazza”.

Il commerciante però si rifiutò, “perché in passato ebbi delle difficoltà a prendere i soldi” da “quel Signore”, occorse “farlo tramite ingiunzione in Tribunale”. Una circostanza passata tutt’altro che inosservata al pm Ceccanti, che ha, dapprima, incalzato il teste (senza però ottenere una risposta specifica) sul fatto se l’acquirente avesse spiegato perché richiedesse di fatturare ad un diverso soggetto e, poi, a quando si riferisse l’ultima vendita di materiale dal magazzino a Chiavazza. “Nel 2009, – è stata la risposta – poi non l’ho mai più visto”.

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