Il Consiglio di Stato aumenta il risarcimento dovuto all’avvocato Giunti

Il professionista aostano ha impugnato la sentenza del gennaio 2024 con cui il Tar della Valle d’Aosta aveva riconosciuto il suo diritto ad essere risarcito con 6mila euro, ritenendo la liquidazione del danno “sostanzialmente sottostimata a quella richiesta e dovuta”.
Avvocato Giunti
Cronaca

Aumenta, andando oltre il raddoppio, il risarcimento che il Ministero dell’Interno dovrà versare all’avvocato aostano Andrea Gino Giunti, per i danni patiti a seguito dell’interdittiva antimafia da cui era stato colpito nel gennaio 2022, poi annullata dalla giustizia amministrativa nell’ottobre successivo. Accade per effetto di una sentenza del Consiglio di Stato, pubblicata in questi giorni. Il legale aveva infatti impugnato il verdetto del settembre 2022 del Tar della Valle d’Aosta, nonostante gli fosse favorevole, perché riteneva “la liquidazione del danno sostanzialmente sottostimata a quella richiesta e dovuta (pari a 200mila euro)”.

Per i giudici del secondo grado amministrativo, una rivalutazione è opportuna, ma di importo diverso da quello sostenuto dal ricorrente. Dai 6mila euro riconosciuti a Giunti in prima battuta si passa, infatti, a un risarcimento di 13.222,02 euro, “oltre interessi legali  e rivalutazione monetaria”. Il Ministero dell’Interno (competente perché, in Valle d’Aosta, l’interdittiva antimafia è atto del Questore) è altresì stato condannato a pagare le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in 4.500 euro, oltre alle voci accessorie.

Nel sentenziare, i giudici del Tar della Valle d’Aosta avevano sostenuto che “il discredito professionale e la conseguente perdita di clientela” del legale aostano “ dovessero “ritenersi riconducibili direttamente alla vicenda penale in cui l’avvocato era coinvolto (ed alla quale era stata data ampia eco dai mass-media)”,  vale a dire il coinvolgimento nell’indagine, e poi nel processo “Alibante” (ancora in corso per il primo grado), su infiltrazioni di ‘ndrangheta sul litorale tirrenico-lametino. Agli occhi del tribunale aostano, non risultava “al contrario provato il nesso causale tra l’emanazione dell’interdittiva ed il pregiudizio lamentato dal professionista”.

Secondo Giunti, “la vicenda penale era di otto mesi precedenti all’emissione dell’interdittiva” e il provvedimento “aveva dato adito ad una nuova campagna di stampa nei propri riguardi, con conseguente riduzione degli incarichi assegnati”. Per i magistrati del Consiglio di Stato, “l’intreccio fattuale e temporale” tra il piano penale e quello amministrativo “impedisce di connotare il nesso causale in termini di univocità finalistica rispetto alla sola vicenda penale, ma non a quella amministrativa, come sostenuto dal T.a.r. nella decisione impugnata”.

“La vicenda – si legge nella sentenza del Consiglio di Stato – appare infatti nel complesso unitaria, ed il danno che ne è conseguito, in termini di discredito professionale derivante dalla diffusione mediatica dei fatti, non risulta concettualmente scindibile e riconducibile solo all’antefatto penalistico, degradando l’emissione dell’interdittiva alla stregua di un post-factum privo di efficienza causale rispetto al danno subito”.

Relativamente alla nuova quantificazione del risarcimento, essa “deve essere parametrata ai redditi che il ricorrente aveva ritratto da rapporti con le pubbliche amministrazioni, nelle annualità precedenti alla vicenda penale ed all’emissione dell’interdittiva e, in particolare, nell’annualità 2021, considerando, altresì, le specifiche occasioni di guadagno perse per effetto del provvedimento ostativo”.

Si arriva così ai 13.222,02 euro che il Ministero dell’Interno è stato condannato dal Consiglio di Stato a versare all’avvocato. L’interdittiva era stata annullata, su ricorso dello stesso Giunti, perché l’informazione antimafia “è normativamente prevista solo per gli imprenditori” e quindi il libero professionista non poteva esserne colpito. Tale verdetto, in assenza di impugnazioni, è divenuto definitivo (aspetto che il Consiglio di Stato pone alla base della decisione di ritenere inammissibile la richiesta del legale di rimborso delle spese legali sostenute per difendersi nel giudizio sul provvedimento interdittivo).

Il Tar condanna il Ministero a risarcire l’avvocato aostano Giunti

10 gennaio 2024 – Ore 13.35

Seimila euro sono la somma con cui il Tribunale Amministrativo Regionale ha condannato il Ministero dell’Interno a risarcire l’avvocato aostano Andrea Gino Giunti. La somma è relativa ai danni patiti dal legale a seguito dell’interdittiva antimafia emessa nei suoi confronti dalla Questura di Aosta nel gennaio 2022.

Il provvedimento, a seguito del ricorso del destinatario, era stato annullato dalla giustizia amministrativa, nell’ottobre di due anni fa, perché l’informazione antimafia “è normativamente prevista solo per gli imprenditori” e quindi il libero professionista non poteva esserne colpito. Tale sentenza ha assunto nel frattempo, in assenza di impugnazione, carattere definitivo.

La comunicazione antimafia era stata richiesta dalla Regione Valle d’Aosta, cui il legale aveva richiesto (ed ottenuto nel 2020) un contributo relativo alla compensazione delle perdite di fatturato nel periodo pandemico da Covid-19. Le verifiche della Questura avevano restituito l’iscrizione di Giunti, così come di sua moglie, l’avvocata Maria Rita Bagalà, nel registro degli indagati nell’inchiesta Alibante, su infiltrazioni di ‘ndrangheta sul litorale tirrenico-lametino, della Dda di Catanzaro. Da lì, il provvedimento che inibiva al legale la possibilità di contrattare con la pubblica amministrazione.

Il libero professionista si è quindi rivolto nuovamente al Tar, assistito dall’avvocato Herbert D’Herin, chiedendo di essere risarcito per i danni subiti “in conseguenza dell’illegittimo provvedimento interdittivo adottato nei suoi confronti”, consistiti in una “lesione della propria immagine e perdita della clientela, sia pubblica sia privata”.

Secondo i magistrati amministrativi, però “costituisce danno diretto del provvedimento cautelare soltanto quello derivante dalla mancata possibilità di acquisire commesse pubbliche”. Per la lesione del danno all’immagine e alla riduzione degli affidamenti da parte dei privati, la sentenza stabilisce invece che “il ricorrente abbia subito il pregiudizio dalla vicenda penale in cui era stato coinvolto e alla quale era stato dato ampio eco dai mass-media”.

Pertanto – si legge ancora in sentenza – “l’adozione della misura interdittiva si reputa che non abbia inciso direttamente su tale aspetto e comunque manca la prova in giudizio del nesso di causalità tra questa tipologia di danno e il provvedimento adottato dalla Questura di Aosta”. Il Tar ha altresì respinto le richieste di Giunti di vedersi rimborsate “le spese legali sostenute per difendersi nel giudizio amministrativo intentato avverso il provvedimento interdittivo” (ritenendo tale aspetto già regolamentato definitivamente dalla sentenza di quel procedimento).

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