Il Tar condanna il Ministero a risarcire l’avvocato aostano Giunti

Il libero professionista, secondo la sentenza, dovrà essere risarcito con la somma di 6mila euro, per l’incapacità di acquisire commesse pubbliche derivante da un’interdittiva antimafia emessa nei suoi confronti e successivamente annullata.
Gli avvocati Andrea Giunti e Maria Rita Bagalà.
Cronaca

Seimila euro sono la somma con cui il Tribunale Amministrativo Regionale ha condannato il Ministero dell’Interno a risarcire l’avvocato aostano Andrea Gino Giunti. La somma è relativa ai danni patiti dal legale a seguito dell’interdittiva antimafia emessa nei suoi confronti dalla Questura di Aosta nel gennaio 2022.

Il provvedimento, a seguito del ricorso del destinatario, era stato annullato dalla giustizia amministrativa, nell’ottobre di due anni fa, perché l’informazione antimafia “è normativamente prevista solo per gli imprenditori” e quindi il libero professionista non poteva esserne colpito. Tale sentenza ha assunto nel frattempo, in assenza di impugnazione, carattere definitivo.

La comunicazione antimafia era stata richiesta dalla Regione Valle d’Aosta, cui il legale aveva richiesto (ed ottenuto nel 2020) un contributo relativo alla compensazione delle perdite di fatturato nel periodo pandemico da Covid-19. Le verifiche della Questura avevano restituito l’iscrizione di Giunti, così come di sua moglie, l’avvocata Maria Rita Bagalà, nel registro degli indagati nell’inchiesta Alibante, su infiltrazioni di ‘ndrangheta sul litorale tirrenico-lametino, della Dda di Catanzaro. Da lì, il provvedimento che inibiva al legale la possibilità di contrattare con la pubblica amministrazione.

Il libero professionista si è quindi rivolto nuovamente al Tar, assistito dall’avvocato Herbert D’Herin, chiedendo di essere risarcito per i danni subiti “in conseguenza dell’illegittimo provvedimento interdittivo adottato nei suoi confronti”, consistiti in una “lesione della propria immagine e perdita della clientela, sia pubblica sia privata”.

Secondo i magistrati amministrativi, però “costituisce danno diretto del provvedimento cautelare soltanto quello derivante dalla mancata possibilità di acquisire commesse pubbliche”. Per la lesione del danno all’immagine e alla riduzione degli affidamenti da parte dei privati, la sentenza stabilisce invece che “il ricorrente abbia subito il pregiudizio dalla vicenda penale in cui era stato coinvolto e alla quale era stato dato ampio eco dai mass-media”.

Pertanto – si legge ancora in sentenza – “l’adozione della misura interdittiva si reputa che non abbia inciso direttamente su tale aspetto e comunque manca la prova in giudizio del nesso di causalità tra questa tipologia di danno e il provvedimento adottato dalla Questura di Aosta”. Il Tar ha altresì respinto le richieste di Giunti di vedersi rimborsate “le spese legali sostenute per difendersi nel giudizio amministrativo intentato avverso il provvedimento interdittivo” (ritenendo tale aspetto già regolamentato definitivamente dalla sentenza di quel procedimento).

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