Che la Valle d’Aosta fosse indicata, da alcuni politici locali come luogo di infiltrazione della criminalità organizzata di origine calabrese, non piaceva ai presunti appartenenti alla “locale”.
Nelle 243 pagine di annotazioni depositate dal pm Valerio Longi viene ricordato di quando Antonio Raso, fra gli imputati nell’inchiesta Geenna e considerato dalla Dda di Torino uno dei componenti di primo piano del locale, si lamenta, in particolare, di un consigliere regionale “verosimilmente Alberto Bertin, fortemente impegnato a tenere continuamente alta l’attenzione proprio su infiltrazioni mafiose negli apparati amministrativi della regione e negli appalti locali, sottolineando che con il suo agire fa danni”.
“…quello, quello combina danni…ha fatto danni e continuerà a fare danni…” emerge in una intercettazione telefonica dove lo stesso Raso passa poi alle minacce: “…finché qualcuno non gli fa “i mussi” tanti (lo picchia in faccia ndr).. e ti dirò qualcuno gli farà i “mussi” tanti, perché è già sul pelo del rasoio…se le è sgraziata un paio di volte…fai il tuo lavoro, fatto bene, con delle certezze…”.
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La Bindi aveva visto giusto sulla politica valdostana e ovviamente anche Bertin, peccato il silenzio assordante, di tanti altri politici (altri invece ai tempi avevan fatto uscite stonate come Centoz che aveva criticato pesantemente la sua collega di partito ), politici che si son ben guardati dal dire ai valdostani che già da questa estate avevan avuto avvisi di garanzia per presunte collusioni mafiose e subito relativi interrogatori, lo apprendiamo solo oggi e dagli organi di stampa mica da quei politici.
Bertin tiene alto il nome della politica valdostana ma troppi e troppo importanti ne sprofondano in basso la fama in tutta Italia, sacreditando non solo sè stessi ma tutta la nostra Regione così malgovernata da troppi anni.