Maltrattamenti e lesioni ai figli, donna condannata a 3 anni e 6 mesi

Si è chiuso oggi, martedì 1° marzo, il processo a carico di una 40enne residente ad Aosta, accusata di aver percosso, tirato i capelli, sfregiato e insultato i figli adolescenti. Nella sentenza, anche 7 anni di sospensione della potestà genitoriale.
Palazzo di Giustizia
Cronaca

Si è concluso oggi, martedì 1° marzo, con la condanna dell’imputata a 3 anni e 6 mesi di reclusione, accompagnata dalla sospensione della potestà genitoriale per 7 anni, il processo ad una 40enne residente ad Aosta, accusata di maltrattamenti e lesioni personali aggravate ai danni dei suoi due figli adolescenti. Il giudice monocratico Marco Tornatore ha stabilito, inoltre, che la donna debba risarcire i danni, liquidati in 40mila euro, cagionati alla prole. L’accusa, rappresentata in aula dal pm Manlio D’Ambrosi, aveva chiesto una condanna a sei anni di reclusione.

Dalle indagini era emerso un susseguirsi di percosse, capelli tirati, sfregi lasciati con coltelli e forchette, nonché insulti come “siete obesi, siete brutti”. L’imputata, a tutt’oggi ai “domiciliari”, era finita in arresto nel maggio 2021. Il fermo era stato richiesto dalla Procura a seguito dell’episodio scatenante del procedimento: una sera i figli della donna si erano allontanati da casa ed era scattato l’allarme ai Carabinieri. La pattuglia intervenuta aveva ricostruito essersi consumata una lite, culminata nella minaccia della donna, avanzata brandendo un coltello, di tagliare la gola ad uno dei due.

Nelle indagini, i figli erano stati sentiti più volte, sempre in modalità protetta, ed oltre a raccontare di angherie e soprusi avevano anche mostrato i segni che hanno sostenuto essere stati inferti con vari oggetti dalla madre, che in un’occasione sarebbe anche arrivata – stando alla tesi d’accusa – a dare loro delle lamette invitandoli a tagliarsi. Nel processo, iniziato lo scorso settembre con rito ordinario, sono sfilati in aura vari testimoni. E’ emerso, oltre agli aspetti specifici relativi ai capi d’imputazione, un contesto complessivo non semplice, caratterizzato dall’assenza di figure paterne stabili per i ragazzi, con la donna trovatasi sostanzialmente da sola nella sua “missione” di madre, in un momento sdrucciolevole per ogni genitore, come quello dell’adolescenza.

Difesa dagli avvocati Stefano Marchesini di Aosta e Monica Grosso di Torino, che ne avevano invocato l’assoluzione, l’imputata risultava incensurata e nessuna segnalazione su presunte criticità nel nucleo familiare era mai giunta ai servizi sociali. Sentita lei stessa in aula (il processo si è protratto per numerose udienze), aveva respinto le accuse, senza però fornire delle spiegazioni alternative. I figli, spostati in comunità nel momento dell’applicazione della misura cautelare alla madre,  si erano costituiti parte civile nel procedimento con l’avvocato Viviane Bellot.

Avuto oggi il pronunciamento sulle responsabilità penali, con la sentenza di primo grado (che ora starà alla valutazione della difesa appellare), la vicenda lascia comunque sul tappeto, come spesso accade in casi del genere, tutti gli interrogativi su quanto un intervento di sostegno preventivo, intercettate le criticità presentate dal nucleo, avrebbe potuto incidere sulla situazione, agendo sul bene fondamentale della qualità e delle prospettive di vita della famiglia (in primis dei figli) ed evitando magari che si superasse la soglia per l’attivazione del percorso giudiziario, per sua natura sanzionatorio. Interrogativi a cui, però, non possono rispondere (o almeno, non da soli) gli attori della giustizia.

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