“La ‘ndrangheta? Va capito chi c’è qui”: parla il nuovo comandante dei Carabinieri

Ad una settimana dall’insediamento al vertice del Gruppo Aosta, il tenente colonnello Carlo Lecca, 51 anni, siciliano, ha incontrato i media per parlare delle prospettive dell’Arma in Valle e della situazione della criminalità.
Il tenente colonnello Carlo Lecca.
Cronaca

Nel suo passato recente ci sono tre diversi uffici del Comando generale di Roma, ma è nei nove anni di servizio in Calabria che il tenente colonnello Carlo Lecca, nuovo comandante del Gruppo Aosta dei Carabinieri, ha forgiato le stelle che porta sulle spalline da quand’è diventato ufficiale. 51 anni, siciliano, ha vissuto buona parte della sua carriera in reparti che il gergo dell’Arma definisce “territoriali”, dalle compagnie di Melito Porto Salvo e Reggio Calabria al Ros di Catanzaro, quelli dove i militari respirano l’asfalto e “annusano” il contesto sociale tutti i giorni.

Una parentesi in cui ha “imparato come ragiona la consorteria mafiosa” e che alla domanda “si sente l’uomo giusto, nel posto giusto, al momento giusto?” – viste le recenti indagini su infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle (da “Geenna” ad “Altanum”) – gli fa rispondere con slancio: “lo spero”. L’esperienza nella culla del crimine organizzato (fu tra gli inquirenti dell’operazione “Decollo”, su fiumi di droga importati dalle ‘ndrine grazie al patto con i narcos colombiani) è “un valore aggiunto”, ma di un aspetto occorre tener conto.

“La ‘ndrangheta è organizzazione a connotazione familiare, – puntualizza Lecca – a seconda della località. Qui può aver cambiato modo di fare”. Nelle articolazioni messe a fuoco dalle recenti indagini, in un unico territorio appaiono rappresentate più famiglie e “questa, per me, è una novità”. La sfida intrapresa con l’assunzione del comando del Gruppo diventa quindi “capire chi c’è qua”, perché i clan, in Calabria, “li ho conosciuti. So che ruolo rivestono laggiù, ma non so chi c’è di loro quassù” ed è “proprio quello che vorrei comprendere lavorando” in Valle.

Sulla realtà calabrese, l’ufficiale non nutre dubbi: “popolo votato al lavoro, molto ospitale e molto semplice. Se uno ha a che fare con gente per bene, non può che parlarne bene”. La permeabilità di quell’area del Paese rispetto al fenomeno mafioso è però nel fatto che “il cittadino ha un diritto, ma va a chiedere ad un referente e non fa nulla per uscire da questo meccanismo”. Ecco che la strumentalizzazione delle proprie prerogative in favori altrui, e soprattutto il conseguente sentirsi a debito (“anche solo di una cassetta di frutta”), rappresenta “un sistema di vita che poi ha delle conseguenze”.

Il nuovo comandante è però consapevole che “ogni territorio ha dinamiche diverse” e quelle della Valle, dopo una settimana (ha assunto l’incarico martedì scorso, 10 settembre), “non le conosco” e “sarei ipocrita se dicessi di avere la situazione sotto controllo”. Però, a volte, “là dove si sta bene, dove c’è tranquillità, ci sono delle problematiche più insidiose. Vedremo”. Nel mentre, il tenente colonnello Lecca rilancia “i capisaldi dell’Arma” come ricetta operativa: la capillarità delle stazioni, la prossimità al cittadino e il controllo del territorio.

In particolare, viste le prime questioni emerse dai briefing con il personale (le truffe alle fasce deboli e la violenza, in particolare sulle donne), “cercheremo di incrementare nella proiezione esterna, anche con le pattuglie appiedate”. Un modo “non solo per dare visibilità, ma anche “per attirare l’attenzione del singolo cittadino”, che magari “non si sente di andare alla stazione Carabinieri ad esporre qualcosa” e parlare direttamente con i militari potrebbe essergli più facile.

Questa la “strategia” nel breve periodo. “Per il resto – il tenente colonnello Lecca ha chiuso il suo primo incontro con i media – continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto. Siamo camaleontici, ci adattiamo alla zona in cui siamo. È la nostra grande forza”. Cambiare pelle, a seconda della vegetazione antropica: lo stesso mimetismo del crimine organizzato quando infiltra un tessuto sociale-politico ed economico lontano dall’Aspromonte. L’ufficiale da poco giunto in Valle, però, lo sa. Lo ha visto capitare. Il resto della partita è da giocare.

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