Morti sul Cervino in aumento, il comune di Valtournenche parte da un manifesto

30 Agosto 2018

Doveva essere la presentazione dell’iniziativa promossa dal comune di Valtournenche a seguito dell’elevato numero di incidenti, anche letali, verificatisi sul Cervino nelle scorse settimane, ma il problema, ai piedi della Gran Becca, è tangibile e la conferenza stampa convocata in municipio per la mattinata di oggi, giovedì 30 agosto, è diventata di più, assumendo quasi i tratti di un dibattito sull’evoluzione dell’alpinismo e sull’approccio alla montagna.

L’idea dell’amministrazione guidata da Jean Antoine Maquignaz, cui hanno aderito vari enti ed istituzioni impegnati nello studio e nel soccorso, è stata di realizzare un manifesto, da declinare in vari formati e veicolare tramite social e campagne classiche. Non un’immagine choc: una guida che tende la mano al suo cliente. I due sono ancorati alla parete, sotto un cielo rosso (che vuole restituire l’idea di pericolo), e poco distante hanno la croce che svetta ai 4.478 metri della sommità. A caratteri cubitali, in inglese, lingua scelta per la sua universalità, campeggia: “Hire a guide, climb safe”. In italiano: “rivolgiti a una guida, arrampica in sicurezza”.

Per il Sindaco, c’era “il dovere morale, sia come Valtournenche, sia come amministrazione, di farci carico del problema”, dalla causa individuata dal primo cittadino nel “manco di preparazione” di alcuni di coloro che tentano la salita. Concetto rafforzato dalla sua vice, Nicole Maquignaz, convinta che “le conseguenze dell’ignoranza della montagna sono sotto gli occhi di tutti” e che “qualche vita, con la prevenzione, si può salvare”.

Chi, quando le difficoltà degli alpinisti si fanno serie, è chiamato ad intervenire, come il comandante del Soccorso Alpino della Guardia di finanza del Breuil, il maresciallo Massimiliano Giovannini, vede nel manifesto “una presa di coscienza di una situazione di cui tutti ci siamo resi conto”. Il Cervino, aggiunge, viene ormai approcciato da alcuni come “una sorta di parco giochi, su cui si sale quando si vuole”. “Non è così – sottolinea. – Inoltre, oltre ad offrire sicurezza elevata, le guide sono detentrici della storia della montagna. Possono spiegare, ad ogni passaggio, e ci si gode veramente l’ascensione”.

Christian Zanolli, del Soccorso Alpino Valdostano, va però oltre, perché sette vittime “sono tante per un’estate” e occorrono “soluzioni affinché accada sempre meno”. Ne cita due, tutte da valutare. Un’idea è di trasformare la Capanna Carrel (lo “spartiacque” tra la parte bassa e quella alta della via italiana normale, a 3.830 metri) da bivacco a rifugio, con la gestione dei posti letto: “chi arriverà senza prenotazione, non potrà continuare a salire”. L’altra è il “modello svizzero”, attuato sul versante di Zermatt, cioè il divieto di bivaccare in parete: eliminando tale possibilità, le persone meno preparate (che impiegano più tempo ad arrivare in vetta) vengono di fatto bloccate.

Su quest’ultimo scenario ha manifestato più d’una perplessità Paolo Papone, che di Valtournenche è parroco, ma anche guida onoraria, per essere salito tante volte sulla “Gran Becca”. “Con il divieto del bivacco e la tariffa del rifugio a 150 euro – ha ragionato pacificamente – la gente meno preparata e meno abbiente, in Svizzera, è sparita. Dov’è andata?” La risposta “Da noi” è stata corale, da parte di numerosi presenti, e il sacerdote-alpinista ha aggiunto: “dobbiamo pensarci, perché oltre al problema culturale queste persone significano richieste di soccorso ogni due per tre”. Papone non lo dice, ma in sala hanno tutti in mente quanto accaduto l’altro ieri sera, con l’elicottero Sierra Alfa 1 a recuperare, alle 20.30, quindi ai confini dell’oscurità, sei scalatori bloccati perché esausti sull’Enjambée (a 4.200 metri). Nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Per Jean-Pierre Fosson, segretario della fondazione Montagna Sicura, “non bisogna avere paura di informare le persone su determinati rischi. Nasconderli per paura che un turista non venga più nella propria località è sbagliato”. E, ancora, “rinviare sempre ai professionisti della montagna, fare sistema”. Perché, “se è vero che la montagna cambia, noi siamo altrettanto in grado di essere portatori di un messaggio positivo di autoeducazione e di responsabilità”.

Seduto nel pubblico, Lucio Trucco, guida e gestore di rifugi, figlio di Giuliano, altro professionista storico della vallata e già direttore del Soccorso Alpino Valdostano, ha definito lodevole l’iniziativa, respingendo però qualsiasi ipotesi di limitare l’accesso alla montagna. “Siamo cresciuti con il sogno di andare sul Cervino – ha esclamato – non si devono tarpare i sogni degli altri. Noi siamo qui per spiegare”. Anche perché, per esempio, “al Plateau non c’è un cartello che indica il pericolo. Il papà che, sceso dalla funivia, fa giocare il bimbo sulla neve, fa il suo. Che ne sa lui, arrivato da fuori, che c’è il crepaccio? È colpa nostra: Dobbiamo spiegarglielo”.

Una varietà di posizioni, non sempre vicine, nelle quali sembrano però prevalere i punti in comune, più che le differenze. Le opportunità di cercare di avvicinarle ancora di più non mancheranno, perché – ha chiuso il vicesindaco Maquignaz – “non vogliamo fare terrorismo e ci saranno altre iniziative in futuro”. Insomma, il manifesto è un inizio. Il fine è che il gigante di roccia e ghiaccio che, fuori dal municipio, sovrasta la vallata, vestito oggi di un velo di nubi, venga preso sul serio da tutti. In fondo, lui, non fa altro che ricordare di esistere.
 

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