Si è chiuso quest’oggi, venerdì 15 marzo, alla Corte d’Appello di Torino il giudizio “bis” sulla confisca dei beni del ristoratore Antonio Raso, imputato per associazione di tipo mafioso nel rito ordinario del processo “Geenna”, sull’esistenza di una locale di ‘ndrangheta in Valle. Nell’udienza di stamane è stato, anzitutto, esaminato il perito che i giudici avevano incaricato degli accertamenti patrimoniali sui beni oggetto del procedimento.
Secondo la relazione depositata, la sproporzione reddituale (sulla base della quale era stata adottata la misura di prevenzione del sequestro preventivo del patrimonio nel 2019, seguita nel 2022 dalla confisca) si attesta su circa 140mila euro nei dodici anni presi in esame (dal 2009 al 2019), rispetto ai 900mila per cui era scattato il provvedimento della Direzione Investigativa Antimafia nei confronti del ristoratore. Una perizia di parte, depositata dai legali di Raso, invece non individua sproporzione.
Tra i beni in questione, si annoverano le quote di titolarità della pizzeria “La Rotonda” ad Aosta, un alloggio e un’autorimessa, due autoveicoli e due conti correnti. Dopo il perito, l’udienza è proceduta con la discussione tra le parti. Lo stesso sostituto Procuratore generale ha chiesto la restituzione a Raso delle quote sociali del ristorante, nonché di disporre la confisca dell’appartamento per una quota parte di 40mila euro. I difensori del ristoratore hanno insistito sull’accoglimento del ricorso presentato. I giudici si sono riservati, in un termine di 45 giorni, la decisione in merito.
Al giudizio “bis” sulla misura patrimoniale applicata a Raso si è arrivati dopo che il 13 aprile dello scorso anno la Cassazione aveva annullato, disponendo il rinvio in appello, il decreto del Tribunale torinese con cui era stata disposta la confisca dei beni di Raso, oggetto di sequestro preventivo nel 2019.
Secondo la Suprema Corte, la Corte d’Appello, confermando (il 20 gennaio 2022) la confisca dei beni e rigettando l’impugnazione dei difensori del ristoratore, non aveva verificato adeguatamente la sussistenza della “correlazione temporale tra la pericolosità sociale” di Raso e “l’acquisizione dei beni confiscati”, né tantomeno dimostrato “la sproporzione reddituale legittimante l’adozione della misura” applicatagli.
I difensori di Raso, gli avvocati Ascanio Donadio e Pasquale Siciliano, avevano sottolineato a più riprese, opponendosi alla confisca, come a Raso non fosse contestata la commissione di reati-fine dell’associazione ed avevano prodotto anche una consulenza tecnica sui beni. Sul versante penale, la condanna inflitta in secondo grado al ristoratore (10 anni, per associazione di tipo mafioso) è stata annullata dalla Cassazione nel gennaio 2023, con rinvio in appello, e quel processo è in corso.
E’ sempre attesa, inoltre, un’altra decisione relativamente al ristoratore: è quella relativa all’opposizione, presentata anch’essa attraverso i suoi legali, alla misura della sorveglianza speciale, applicatagli con la confisca dei beni. L’udienza si era chiusa alla fine dello scorso anno.